giovedì 20 dicembre 2012

AUGURI !

AUGURI! Il mio augurio è che il nostro Gesù Bambino, Re Sole del Natale Solstizio d'Inverno, porti giustizia sociale e vera pace al mondo, serenità e benessere (spirituale, fisico ed anche economico) a Voi, alle Vostre famiglie ed a tutti i Vostri cari. Preghiamo affinchè Dio protegga la nostra Europa Cristiana e benedica la nostra "buona battaglia ideale" in difesa della nostra Civiltà, della nostra Tradizione, della nostra Identità, della nostra libertà di popolo e della nostra sovranità di nazione. Natale 2012 - Capodanno 2013 (Roberto Jonghi Lavarini)

giovedì 13 dicembre 2012

Rapporto Nazionale sull'Araldica.

http://www.centrostudiaraldici.org/news/RapportoNazionaleStatoAraldica2012.pdf

mercoledì 12 dicembre 2012

Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro: Santo Natale 2012.

CISOM - SMOM - MILANO

Il Corpo Italiano di Soccorso del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di Malta di Milano è, come sempre, mobilitato per l’emergenza freddo. Quest’anno, il CISOM è impegnato nelle “unità di strada” del Comune di Milano, servizio che, di sera, fornisce assistenza alle centinaia di “senza fissa dimora” della nostra città. Servono, innanzitutto, Volontari che, dopo avere partecipato ad un breve corso di formazione (di tre lezioni), dovranno prestare servizio almeno una volta al mese. Raccogliamo coperte e sacchi a pelo, abbigliamento nuovo o in ottimo stato (solo biancheria intima, calze, felpe e maglioni, guanti e cappelli di lana), derrate alimentari (assolutamente confezioni monouso, in particolare biscotti, crackers, grissini, panini, carne e tonno in scatola) e generi di prima necessità (fazzoletti di carta, salviette umidificate, saponette, detergenti e deodoranti) che saranno distribuite, nei prossimi mesi, ai nostri assistiti. Sempre utili e gradite le libere offerte economiche fatte all’Ordine che provvederà a destinarli (al 100%) per tutte, le molte e diverse, necessità di questo specifico servizio. Per informazioni ed adesioni, rivolgetevi direttamente al mio “capo squadra”, Nob.Cav.Avv. Carlo Settembrini Sparavieri: sparavieri@gmail.com. Si tratta di una concreta ed impegnativa iniziativa di solidarietà, sociale e cristiana, nei confronti del nostro prossimo più sfortunato, di un gesto di autentica nobiltà, di una straordinaria esperienza, appagante e formativa, che consiglio a tutti, perché, aiutare gli altri, ci aiuta a riflettere ed a migliorare noi stessi. Roberto Jonghi Lavarini

mercoledì 5 dicembre 2012

Sant'Ambrogio, la Fiera degli "Ohbej-Ohbej" e l'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

L’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è particolarmente legato alla Festa di Sant’Ambrogio, Patrono di Milano, per una antica tradizione che vuole che la Fiera degli “Oh bej, oh bej” sia nata con l’arrivo in città, nel 1560, del Conte Giannetto Castiglione de Castiglioni, ultimo Gran Maestro dell’Ordine di San Lazzaro di Gerusalemme (unito dal Papa, nel 1572, all’Ordine di San Maurizio, sotto la protezione perpetua dei Duchi di Savoia). Giannetto era stato incaricato dal Pontefice di rinvigorire la fede e la fedeltà del popolo ambrosiano alla Chiesa Cattolica, per questo, entrando in Milano, appositamente il 7 dicembre, festa patronale, alla testa di un corteo di nobili, religiosi e cavalieri, decise di socializzare subito con i milanesi, distribuendo pane e vestiti ai poveri, ma anche dolci (marzapane, biscotti ed i “firun”, le collane di castagne) e giocattoli ai bambini che, in dialetto, accolsero entusiasti gli inaspettati doni con l’espressione “Oh bej, oh bej” (che belli, che belli).

L'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro sulla storica Enciclopedia Italiana Treccani.

MAURIZIO E LAZZARO, Ordine dei santi. - L'attuale ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, risulta dall'unione, avvenuta nel 1572, dei due ordini di S. Maurizio e di S. Lazzaro. Antichissimo l'ordine dei cavalieri di San Lazzaro, nato come ordine ospitaliero, a Gerusalemme, in un ospedale di lebbrosi e al tempo del primo regno latino dei crociati. Meno celebre dell'ordine di San Giovanni, era tuttavia molto rigoroso: vi si seguiva la regola di Sant'Agostino, e i cavalieri restavano obbligati alla vita d'ospedale in perpetuo. Nei Regesta Regni Hierosolymitani, compilato dal Röhricht, i fratres dell'ospedale di S. Lazzaro compaiono verso l'anno 1100, e sono poi spesso menzionati. Anche in Europa i lebbrosarî erano spesso serviti dai cavalieri di S. Lazzaro; ad es., in Francia, la casa di S. Lazzaro, dove poi sorsero i lazzaristi con un ospedale di tal genere. L'ospedale di S. Lazzaro in Gerusalemme fu arricchito da sovrani e papi; e nella seconda metà del sec. XIII, trasferitosi in Acri, cominciò ad armare soldati per la difesa dei Latini in Oriente: nacque così l'Ordine militare. Col sec. XIV scomparve del tutto, solo restando in Occidente i commendatarî, a godere i benefici che l'ordine possedeva in Europa. L'ordine di S. Maurizio è collegato con il culto per l'eroe cristiano (v. maurizio, santo), tenuto vivo nella località di Agauno nel Chiablese, dove il re di Borgogna Sigismondo eresse nel 515 un'abbazia intitolata al santo martire. Molti re di Borgogna ebbero ivi l'investitura con la tradizione della lancia e dell'anello di S. Maurizio. Per venerare le reliquie di lui, frequenti e numerosi accorrevano i pellegrini: fra questi, nel 1064, Sant'Aimone, arcivescovo di Colonia, che ebbe il favore di portare con sé parte di quel prezioso deposito. Il Chiablese passò nel 1032 sotto il dominio dei Savoia; e nel 1250 Pietro di Savoia detto "il piccolo Carlomagno" chiese e ottenne in dono dall'abate Rodolfo l'anello di S. Maurizio, con l'obbligo che fosse tenuto in perpetuo dal principe di casa Savoia, regnante su quelle terre. L'anello di San Maurizio fu usato in seguito dai principi di Savoia nelle solenni cerimonie, nei casi di gran pericoli in guerra e nell'investitura del regno sino al 1798, quando fu involato: l'oro ne venne fuso e la pietra - uno zaffiro su cui era intagliato un guerriero a cavallo con la lancia abbassata - venduta a un russo. Re Carlo Alberto, da un'impronta del primo anello conservata nel medagliere di casa Savoia, ne fece eseguire un facsimile. Amedeo VIII sul principio del secolo XV fece erigere a Ripaglia, presso Thonon sul Lago Lemano, una chiesa dedicata a S. Maurizio e un convento sotto la dipendenza dei canonici di Agauno. Dopo la sua rinuncia al governo (v. amedeo viii), lasciò la reggia e si ritirò da prima a Pierre-Chatel e poi a Ripaglia con cinque cavalieri già suoi fedeli consiglieri, con i quali fondò la sacra milizia di S. Maurizio. Presso il monastero si erano fabbricate sei torri, fortificate, che ne circondavano una settima più grande: in questa dimorava il principe, nelle altre i cavalieri; le sei erano tutte collegate per mezzo di cunicoli interni alla settima, nella quale si radunavano per dare pareri al principe intorno alle cure più importanti dello stato. Così Amedeo VIII assisteva l'inesperienza del figlio Lodovico, al quale aveva ceduto il trono. I primi cavalieri di San Maurizio furono: Arrigo di Colombier, Claudio di Saix, Nycodo di Menthon, Umberto di Glerens e Francesco di Buxy. Tutti erano vedovi e, come il duca di età avanzata. Portavano un cappuccio e un mantello di panno grigio, avevano i capelli lunghi e la barba, un bastone ricurvo in mano e al collo la croce di San Maurizio d'oro. La data dell'ingresso di Amedeo VIII nell'eremo di Ripaglia, 16 ottobre 1434, deve ritenersi quella della fondazione dell'ordine. Nel testamento dell'anno 1439, Amedeo VIII spiega chiaramente quale fine avesse avuto nell'istituire i cavalieri romiti di San Maurizio, cioè una milizia religiosa che, mentre serviva a Dio nella solitudine, servisse al principe con i consigli della matura esperienza; comanda al suo erede, che i nuovi cavalieri vengano eletti col consiglio dei già esistenti e siano "uomini egregi, d'età provetta, lungamente e laudabilmente esercitati in onorate militari fazioni.... ed in ardui maneggi di stato, di provata integrità, netti d'ogni macchia di misfatto e d'infamia e disposti per finir bene la vita a rinunciare volontariamente al cavalierato ed alle pompe mondane...". Poco dopo Amedeo VIII veniva eletto antipapa e assunto il nome di Felice V, lasciò la solitudine di Ripaglia seguito dai suoi cavalieri. Pare che così andasse estinta, almeno per allora, quella milizia, perché da quel momento non se ne ha più notizia. Più di un secolo dopo, Emanuele Filiberto di Savoia richiamò a nuova vita l'ordine di S. Maurizio, ma con altre regole e con altri fini: e cioè: purgare il mare dai pirati, combattere i nemici della fede, esercitare l'ospitalità e avere a sua disposizione una milizia nobile devota a lui, non solo per sudditanza, ma anche per voto di religione. Gregorio XIII con bolla del 16 settembre 1572 riconosceva l'ordine approvandone i nuovi statuti e lo sottoponeva alla regola cisterciense. Ma il compimento di quest'ordine doveva venire dall'unione con quello di S. Lazzaro. Fin dall'anno 1571 Giannetto Castiglioni, gran maestro dell'ordine di San Lazzaro, avendo spontaneamente rinunciato alla carica a favore del duca Emanuele Filiberto di Savoia, questi aveva aperte trattative col pontefice per ottenere la riunione dell'ordine di San Lazzaro, con quello già confermato di San Maurizio, ciò che in fine poté ottenere da Gregorio XIII con bolla del 13 novembre 1572, nella quale veniva nominato gran maestro lo stesso duca e i suoi successori in perpetuo. Ottenuta l'approvazione pontificia, Emanuele Filiberto ne notificò l'organizzazione ai suoi sudditi con regie patenti del 22 gennaio 1573; dotò l'ordine di beni che fruttassero annualmente quindicimila scudi, statuì le norme per l'ammissione dei cavalieri, ordinò le insegne, i manti, le regole per la riunione dei capitoli; dichiarò che la chiesa conventuale dell'ordine sarebbe stata nel castello di Torino, che esso avrebbe avuto due case conventuali: una a Torino per il servizio di terra e l'altra a Nizza per il servizio di mare; ordinò che i cavalieri dovessero servire in convento per cinque anni, fare tre carovane e possedere quattro quarti di nobiltà. Nello stesso anno ottenne pure dal pontefice Gregorio XIII che l'ordine fosse sottoposto, anziché alla regola cisterciense, a quella di Sant'Agostino, e nel maggio deputò ai servigi della religione le due galere la Piemontesa e la Margarita, che innalzarono la bandiera dell'ordine, inviandole al servizio del pontefice contro i Turchi. Successo Carlo Emanuele I nel ducato di Savoia, questi, in ricordo della vittoria riportata nel giorno festivo di San Maurizio contro i Bernesi e Ginevrini, ottenne dal pontefice e prescrisse che tale giorno fosse dichiarato festivo nei suoi stati. Domandò per la chiesa di Agauno, e nel 1603 ebbe di fatto, gran parte del corpo di San Maurizio e la spada di lui, che poi furono con grandissima solennità collocati nella cattedrale di Torino. Inoltre modificò l'abito e le insegne dei cavalieri e prescrisse che la croce di San Maurizio prevalesse su quella di San Lazzaro, ridotta a minori dimensioni: la croce si portava allora di seta, cucita sopra l'abito. Altre modificazioni a quest'ordine apportarono Madama Reale reggente e Vittorio Amedeo II; ma dopo l'occupazione francese del Piemonte l'ordine dei santi Maurizio e Lazzaro sparì nel naufragio di tutte le antiche istituzioni. Vittorio Emanuele I, nel 1814 rientrato nei suoi stati di terraferma, il 27 dicembre 1816 raccolse in tre volumi e promulgò le leggi e gli statuti dell'ordine prima inediti e sparsi, riconfermò per l'ammissione le prove di nobiltà dei quattro quarti, ammise però che vi potessero essere ricevuti anche cavalieri per grazia "per rimunerazione dei servizî resi allo stato" che possedessero però certe condizioni. I cavalieri della SS. Annunziata erano dispensati dall'obbligo delle prove. Fissò pure i manti dei varî gradi. Con regie patenti del 9 dicembre 1831 re Carlo Alberto modificò nuovamente gli statuti. I componenti dell'ordine furono divisi in tre classi: cavalieri, commendatori e grandi ufficiali; la classe dei cavalieri, il cui numero era illimitato, si divideva in due categorie: cavalieri di giustizia e cavalieri di grazia, i primi dovevano provare la nobiltà duecentale dei quattro quarti, i secondi venivano nominati dal re par servizî resi allo stato. Nel 1842 con regio viglietto del 7 gennaio veniva modificata pure l'uniforme. Vittorio Emanuele II il 20 febbraio 1868 stabilì per l'ammissione nell'ordine le regole che vigono tuttora; esso veniva così semplicemente destinato a ricompensare le benemerenze nelle carriere civili e militari. Fu diviso in cinque classi: cavalieri di gran croce, grandi ufficiali, commendatori, cavalieri ufficiali e cavalieri. La decorazione consiste in una croge trifogliata d'oro, smaltata di bianco, accollata a una croce biforcata, smaltata di verde. Il nastro è verde ondato. Bibl.: B. Giustinian, Histoire cronologiche degli ordini militari e di tutte le religioni cavalleresche, ecc., Venezia 1792; L. Cibrario, Breve storia degli Ordini di San Maurizio e di San Lazzaro avanti e dopo l'unione dei medesimi, Torino 1844; id., Descrizione storica degli ordini cavallereschi, Torino 1846; Decreto del re gran maestro del 20 febbraio 1868, Firenze 1868; R. Cuomo, Ordini cavallereschi antichi e moderni, voll. 2, Napoli 1894; L. Cappelletti, Storia degli ordini cavallereschi, Livorno 1904; L. Pullé, Dalle crociate ad oggi, Milano 1905; L'Ordine Mauriziano, Torino 1917; R. E. Ceschina, Gli ordini equestri del regno d'Italia, Milano 1925; L. Rangoni-Machiavelli, Onorificenze e medaglie nazionali, in Bollettino dell'Ufficio storico del Com. del Corpo di stato maggiore, Roma 1927; Guadagnini, Origine degli ordini cavallereschi, Venezia 1925. Per l'ordine di S. Lazzaro, v. anche R. Röhricht, Regesta Regni Hierosolymitani (1907-1191), Innsbruck 1893; Archives de l'Orient, II, Parigi 1884; L. Cibrario, Dei Templari, Torino 1868. http://www.treccani.it/enciclopedia/maurizio-e-lazzaro_(Enciclopedia_Italiana)/

Associazione Milano Medievale.

”Cum animadverterem non solum gentes extraneas, verum quoque compatriotas meos in cuiusdam ignorantie dormientes deserto, nescientes Mediolani magnalia, oppinioni eorum succurrendum et consulendum fore extimavi, ut vigilantes videant et videntes cognoscant qualis et quanti sit nostra civitas admiranda”. ”Poiché mi sono accorto che non solo gli stranieri, ma anche i mii concittadini dormono, nel deserto, per così dire, dell'ignoranza e non conoscono le meraviglie di Milano, ho pensato che si dovesse aiutarli a farsene un'opinione, in modo che, aprendo gli occhi, vedano e, vedendo, capiscano che città sia la nostra e quanto sia degna di ammirazione”. (Bonvesin de la Riva, De Magnalibus Mediolani, Trad. di Giuseppe Pontiggia, Bompiani, 2010) Sono passati esattamente 724 anni da quando Bonvesin de la Riva scriveva queste parole come prologo al suo lavoro, eppure sembra che non sia cambiato molto. “Magnalia, meraviglie, meraviglie di Milano che meritano l'elogio, non per farti rimpiangere la vita dei Milanesi della fine del Duecento, ma per capire le ragioni del primato di Milano nella vita di oggi“ scrive Vittorio Sgarbi nella prefazione del testo edito da Bompiani. Bastano queste poche righe per comprendere la necessità, oggi più che mai, di conoscere, vedere, toccare con mano, questo incredibile e affascinante patrimonio ed è per questo che Italia Medievale ha predisposto un programma di visite guidate adattabile a tutte le età e a tutte le esigenze. Per scegliere il percorso che preferite cliccate su Itinerari nel menù in alto, oppure scriveteci per itinerari personalizzati: info@italiamedievale.org.

Cardinale Enrico Benedetto Stuart, Duca di York.

Their Royal Highnesses the Duke and Duchess of Gloucester inaugurate the coat of arms of Henry Benedict Stuart, Cardinal Duke of York, at the Pontifical Scots College, Rome. During their recent visit to Rome, on November 30th, the feast of St Andrew, Patron Saint of Scotland, Their Royal Highnesses the Duke and Duchess of Gloucester visited the Pontifical Scots College. Among the various events of the visit, the Duke of Gloucester unveiled a reproduction of the coat of arms of Henry Benedict Stuart, Cardinal Duke of York, painted by Marco Foppoli (AIH) and donated by the artist with the consent of the Cardinal Henry Stuart Society of Rome, who own the original painting, which joins several Stuart portraits in decorating the new lecture theatre dedicated to the Cardinal Duke of York. The reproduction of the coat of arms of the last descendant of the Royal House of Stuart, of England, Scotland, Ireland and Wales, who lived and died in Rome, was appreciated by HRH the Duke of Gloucester who said he was honored to inaugurate the arms of his "Cousin". HRH The Duke of Gloucester unveils the restored arms of Cardinal York painted by Marco Foppoli (AIH) at the Pontifical Scots College, Rome. 30 November 2012 http://www.flickr.com/photos/ukinholysee/8235059867/
I Duchi di Gloucester inaugurano lo stemma del Cardinale Enrico Stuart al "Pontifical Scots College" di Roma. Durante la recente visita romana delle LL.AA.RR. il Duca e la Duchessa di Gloucester, il 30 novembre, giorno di S. Andrea, hanno visitato il Pontifical Scots College di Roma. Tra le varie iniziative della visita i Duchi di Gloucester hanno scoperto una riproduzione dello stemma del Cardinale Enrico Benedetto Stuart, Duca di York dipinto da Marco Foppoli (AIH) e donato dall'araldista in accordo con il Comitato del Cardinale Enrico Stuart di Roma al Pontifical Scots College che ha dedicato alla memoria del Cardinale di York la sala conferenze del Collegio. La riproduzione dello stemma dell'ultimo discendente della Casa Reale degli Stuart d'Inghilterra, Scozia e Irlanda - che visse e morì a Roma -, è stato apprezzato da S.A.R. il Duca di Gloucester che si è detto onorato di inaugurare lo stemma di suo "Cugino".

Istituto del Sacro Romano Impero.

martedì 4 dicembre 2012

Beato Imperatore Carlo.

Roberto Jonghi Lavarini Vi invita a partecipare alla presentazione del libro sul Beato Carlo d'Asburgo, ultimo Imperatore erede del Sacro Romano Impero. Interverrà Sua Altezza Imperiale l'Arciduca Martino d'Austria-Este.
Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore. Presentazione del libro: "Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore". Martedì 4 dicembre 2012, ore 18.00 sala Maria Teresa, Milano, via Brera 28. Martedì 4 dicembre, Ore 18.00 nella sala Maria Teresa della Biblioteca Nazionale Braidense, a Milano in via brera 28 viene presentato il volume "Carlo d'Asburgo, l'ultimo Imperatore" di Roberto Coaloa. Ne discutono con l’autore Giorgio Mosci, (editore Il Canneto di Genova), Monsignor Arnaldo Morandi, l’Arciduca Martino d'Austria-Este (nipote dell'ultimo Imperatore), Marco Carminati, Giorgio Galli, Martino Negri e Igor Sibaldi. Il «gentiluomo europeo», profeta di pace nella Grande guerra. L’avvento al trono di Carlo, ultimo imperatore dell’Austria-Ungheria, rappresenta l'atto finale di una epopea secolare finalmente restituita al valore che ebbe sulla Grande Guerra. La fine dell’Austria Felix è preludio dei fatali totalitarismi del Novecento e chiude per sempre l’era più feconda della Vecchia Europa. Carlo fu un progressista, nonché moderno, rispetto a suo prozio Francesco Giuseppe. Fu il primo tra i sovrani europei ad installare i telefoni nel suo palazzo imperiale per le comunicazioni interne, il primo a guidare l’automobile, il primo a volare su un aeroplano. L’ultimo imperatore fu straordinariamente attuale anche nei rapporti con la moglie, l’imperatrice Zita, che trattò da pari a pari, impensabile per l’epoca. Un personaggio moderno, ma dalle radici antiche, quasi medievali, legate ad un atavismo di santi e cavalieri, che non facilitò l’imperatore nelle relazioni con la cinica diplomazia europea e americana d’inizio Novecento. Cresciuto in un ambiente in cui la parola data aveva un senso profondo, per il «gentiluomo europeo» era inconcepibile, ad esempio, il fatto che Miklós Horthy non mantenesse la propria parola. O che un uomo del suo entourage come il ministro degli esteri, Ottokar Czernin, approfittasse di un suo malessere per

venerdì 30 novembre 2012

Famiglie Nobili della Bergamasca.

Adelasio: da Adelchis, nobile Stirpe longobarda. Agliardi: da Adalhard, nobile Stirpe longobarda di parte ghibellina. Albani: dal nome latino Albanus, antico e nobile casato originario di Albano S. Alessandro, feroce avversario dei Brembati. Albrici: da Albrik, nobile casato scalvino longobardo. Ambiveri: dal paese celtico di Ambivere. Bonghi: dal nome germanico Bongis, antico e nobile casato fra i più in vista della città di Bergamo; storico alleato guelfo di Colleoni e Rivola contro i potentissimi e ghibellini Suardi. Brembati: dal toponimo celtico Brembate, storici avversari degli Albani. Calepio: dal toponimo d’etimo forse greco Calepio. Sarebbero un ramo dei longobardi Martinengo. Camerati: famiglia della Val Brembana, signori feudali di Camerata, Averara, Mazzoleni e Primaluna. Capitani: famiglia d’origine scalvina che diede vita ai Capitanio e ai Cattaneo. Carrara: famiglia longobarda di Serina, il cui cognome vanta oltre 2.000 famiglie nel Bergamasco. Colleoni: ramo dei Ghisalberti, d’origine longobarda e di parte guelfa che diede i natali al valoroso prode orobico Bartolomeo Colleoni. Il nome è dovuto alla virilità del capostipite. Crotta/Crotti: pare antica famiglia bergamasca di origine arimannica il cui nome potrebbe derivare o dalle grotte che abitavano o dal termine germanico hroth, “gloria”, lo stesso che è alla base del cognome Rota. Forse sono imparentate. Fanzago: originaria di Clusone, ramo dei longobardi Aliprandi di Milano, il cui capostipite fu forse nomato germanicamente aggiungendo il suffisso prediale celtico -aco. Fogaccia: famiglia clusonese originaria del Bresciano; più che alla focaccia sarebbe meglio pensare ad un nome germanico del tipo Folko, “Popolo in armi”, ovviamente corrotto. Ghisalberti: da Gisilbert, Stirpe longobarda comitale durante la Contea franca di Bergamo. Essa generò il casato dei Colleoni. Ginami: forse da Wilhelm, nobile famiglia della Val Seriana. Grumelli: dal toponimo celtico Grumello, casato germanico guelfo. Locatelli: casato valdimagnino d’origine longobarda, che prende il nome dal paese celtico di Locatello e che ha animato la seconda famiglia più numerosa del Bergamasco. Lupi: ramo brembano dei longobardi Benzoni, di certo traduzione latina del germanico Wolf, che significa “lupo, guerriero”. Maironi: illustre famiglia il cui cognome deriva dal nome germanico Mayer, “maggiore”. Mapelli: nobile casato originario del paese celtico di Mapello, il cui capostipite parrebbe essere un Waldericus di chiara origine nordica. Martinengo: dal toponimo longobardo di Martinengo, casato d’origine orobico-bresciana potentissimo in Lombardia e filo-imperiale. Medolago: dal toponimo celtico di Medolago, casato risalente ai germanici Vavassori isolani. Moroni: nobile famiglia germanica della città di Bergamo, il cui nome non si esclude possa derivare dalla pianta del gelso che in bergamasco suona “murù”. Mozzi: deriva dal toponimo celtico Mozzo ed è un’antica e nobile famiglia orobica di stampo longobardo. Prezzati: dal toponimo celtico Prezzate, da cui uscì il nobile longobardo Adalbert divenuto monaco cluniacense fondatore del monastero di Pontida, in cui avvenne il fatidico giuramento lombardo. Ad esso è legata l’abbazia di Fontanella, fondata dalla longobarda Theoberga, cugina del conte di Bergamo Gisilbert. Rivola: antica e nobile famiglia longobarda di parte guelfa, alleata di Colleoni e Bonghi contro i ghibellini Suardi. Rota: il casato più numeroso del Bergamasco, valdimagnino di origine longobarda, legato al nome del terzo e ultimo duca longobardo di Bergamo Rotharit. Signori: casato di Comenduno, toponimo celtico, nato da Wapper o Weber, cavaliere svevo di Federico II. Solza: nobile famiglia germanica di Stirpe imperiale, che diede il nome al toponimo isolano Solza, tra l’altro paese natale del Colleoni. L’etimo potrebbe derivare dall’aferesi di Answald. Suardi: la più nobile famiglia del Bergamasco, di origine longobarda nata da un certo Sigward, funzionario del Regno Franco. Fu fedelmente ghibellina e alleata dei Visconti. Legò le sue vicende a quelle della città di Bergamo. Tadini: nobile famiglia di Martinengo, nata da un certo Tado o Taido, nome longobardo che significa “Popolo”. Tasso: dal nome germanico Tasso, originaria della Val Brembana, di Cornello e di Bretto (dal celtico brento, “vasca, truogolo”), e trasferitasi a Bergamo. Diede i natali ai poeti Bernardo e Torquato, ma prima di ciò si legò ai Della Torre fondando il casato dei Thurn und Taxis germanici che acquisirono il monopolio delle poste europee. Terzi: famiglia longobarda ghibellina, dal nome Terzo. Vertova: dal toponimo celtico di Vertova, e di origine franca. Vimercati: di origine brianzola, ebbe un ramo illustre nel Bergamasco. Zenoni: casato bergamasco longobardo legato al culto ariano di San Zenone.

Antica Nobiltà Lombarda.

Adda (D’): famiglia milanese di antichissima origine imparentata coi Visconti. Airoldi: famiglia lecchese di origine longobarda (da Hariowald, “condottiero”). Aleramici: famiglia feudale piemontese di origine franca che governò tramite la Marca omonima Monferrato, Saluzzo, Savona e altre terre tra Lombardia e Liguria. Suo capostipite Aleramo, franco, marchese del Monferrato (da Heilram, “corvo sacro”). Aliprandi: famiglia milanese di ceppo longobardo che ebbe il predominio sulla città di Monza; la tradizione li vuole discendenti di re Liutprando (da Adalbrand, “nobile spada”). Anguissola: famiglia aristocratica piacentina di origine bizantina (pare). Anscarici: dinastia marchionale franca, a capo dell’omonima Marca, che estese il proprio dominio su buona parte della Lombardia. Suo capostipite Anscario che ottenne la Marca di Ivrea (da Ansgair, “lancia divina”). Archinto: feudatari del SRI, milanesi. Arcimboldi: famiglia patrizia milanese originaria di Parma. Arduinici: dinastia franca a capo dell’omonima marca che dominava Torino e il Piemonte. Suo capostipite Arduino il Glabro (da Hardwin, “amico duro, forte”). Beccaria: nobile casata pavese che tenne signoria sulla città di Pavia per molto tempo. Di origine longobarda derivano il loro cognome dai termini berk + skaria ossia “capitano della difesa”. Benaglio: famiglia orobico-lecchese di origine longobarda, alleati dei Torriani. Besozzi: famiglia dell’Alta Insubria di origine longobarda, che prende il nome dal feudo di Besozzo. Bonacolsi: primi signori di Mantova, originari dell’Emilia e di stirpe longobarda. Bottigella: antica e illustre casata di Pavia. Brivio: antica famiglia nobile milanese, fatta tradizionalmente risalire ai duchi di Brünswick. Canossa: Attoni di Canossa, potente famiglia feudale di origine longobarda, insediatasi nelle valli dell’Appennino reggiano. Signori di Reggio. Casaloldi: famiglia di conti rurali medievali di origine longobarda, signori della Lombardia Orientale. Devono il nome a Casaloldo, nel Mantovano. Casati: famiglia brianzola di origine longobarda. Castiglioni: importante famiglia insubrica. Cavalcabò: signori di Cremona di origine longobarda, discendenti degli Obertenghi. Correggio (da): famiglia feudale di Parma e Correggio. Crivelli: potente famiglia nobiliare del Milanese di origine franca. Durini: nobile famiglia di origine lariano-milanese. Della Torre (Torriani): primi signori di Milano e della Lombardia, di origine franca e discendenti della famiglia imperiale di Carlo Magno. Guelfi. Estensi: nobile famiglia di origine longobarda che prese il nome dal feudo d’Este (Padova), signori di Ferrara, Modena e Reggio. Si sono originati dagli Obertenghi, così come i Pallavicino, i Cavalcabò, i Malaspina. Gambara: famiglia bresciana di origine bavarese; il loro nome è legato alla leggendaria regina dei Longobardi, la valchiria Gambara (da gamal, “vecchio” + bertha “splendente”). Ghisolfi: antica famiglia longobarda mantovana (da Gisilwulf, “lupo-guerriero forte col dardo”). Gonzaga (Corradi-Gonzaga): antica e nobile famiglia reggiano-mantovana di origine germanica che sostituì i Bonacolsi alla guida di Mantova. Prendono il nome dal feudo di Gonzaga possedimento del capostipite Corradi (da Konrad, “consigliere ardito”). Lambertenghi: famiglia longobarda del Comasco (dal nome Landbert, “illustre in Patria” + suffisso etnico -ing). Lampugnani: antichissima e nobile famiglia milanese di origine germanica (di Lampugnano). Landriani: nobile famiglia milanese germanica feudataria di Landriano (Pavia). Lucini: famiglia comasca di origine longobarda (dal celtico leukos, “bosco sacro”). Macchi: nobile famiglia varesotta (dal celtico makos, “bosco”). Maggi: nobile famiglia bresciana guelfa (potrebbe derivare il suo nome non tanto dal mese omonimo quanto dall’ipocoristico germanico di nomi in magin-, “potenza”). Melzi: una delle più antiche famiglie nobili di Milano. Obertenghi: dinastia longobarda il cui capostipite è Oberto (audha, “proprietà” + bertha “splendente”, + suffisso etnico -ing), reggente dell’omonima Marca che dominava la Liguria orientale e l’Emilia occidentale. Odescalchi: nobile casata comasca di origine longobarda (da Godescalcus, “servo di Dio”). Pallavicino: signori di Cremona, Parma, Piacenza di origine longobarda (stirpe obertenga). Pico della Mirandola: nobile famiglia germanica che ebbe la sovranità sul Ducato di Mirandola, poi assorbito dagli Estensi di Modena. Porro: nobile casata brianzola di origine germanica. Ruspini: famiglia decurionale comasca il cui nome deriva dal germanico ruspan, “rozzo, ruvido”. Sannazzaro: antica famiglia nobiliare (burgunda?) del Pavese e del Monferrato. Serbelloni: importante famiglia patrizia di Milano. Sessa: arimanni longobardi milanesi originari di Carcano (nel Comasco) e feudatari di Sessa, nel Ticino. Stampa: antica e nobile famiglia milanese di origine franca. Taverna: nobile famiglia milanese. Trivulzio: antica casata di Milano originaria del Pavese. Verri: nobile famiglia della bassa Brianza stabilitasi a Milano. Vialardi: nobile famiglia piemontese di origine longobarda (da Widalhard, “duro legno”). Visconti: ghibellini signori e duchi di Milano, di origine longobarda, che sostituirono i Torriani nel dominio della capitale e della Lombardia; natii di Massino, nel Novarese. Ad essi subentrarono i romagnoli Sforza.

mercoledì 28 novembre 2012

"Uomini, in piedi, in mezzo alle rovine"

"È importante, è essenziale, che si costituisca una élite la quale, in una raccolta intensità, definisca secondo un rigore intellettuale ed un'assoluta intransigenza l'idea, in funzione della quale si deve essere uniti, ed affermi questa idea soprattutto nella forma dell'uomo nuovo, dell'uomo della resistenza, dell'uomo dritto fra le rovine. Se sarà dato andar oltre questo periodo di crisi e di ordine vacillante e illusorio, solo a quest'uomo spetterà il futuro. Ma quand'anche il destino che il mondo moderno si è creato, e che ora sta travolgendolo, non dovesse esser contenuto, presso a tali premesse le posizioni interne saranno mantenute: in qualsiasi evenienza ciò che potrà esser fatto sarà fatto e apparterremo a quella patria, che da nessun nemico potrà mai essere né occupata né distrutta." (Julius Evola)

martedì 27 novembre 2012

Gli assoluti vantaggi della Monarchia.

Tra veri e falsi «revisionismi», che investono sia la storia sia le grandi categorie concettuali della politica, ora aumentando la conoscenza ora viceversa vulnerandola gravemente, vi è spazio anche per una rivisitazione serena della «questione istituzionale». Le tendenze oligarchiche di molte democrazie repubblicane sono ormai un dato evidente di realtà. E ciò, nonostante tutte le proclamazioni sulla «crescita della democrazia», suggerisce che siamo in presenza di una crisi democratica assai significativa. Vi è, insieme, una carenza di autorità e di libertà che segnala un vuoto istituzionale, prodotto dall'eliminazione di quel punto di equilibrio rappresentato, per lo Stato e per la Nazione, da una monarchia come tale indipendente da partiti e da interessi particolari, radicata in quella grande impresa che è stata l'edificazione dell'unità nazionale. Di ciò si occupa il presente volume, in una nuova edizione arricchita da un'ampia Premessa e da uno scritto di Luigi Einaudi. Il tema affrontato da Domenico Fisichella in questo suo limpido Elogio della monarchia è solo apparentemente "nostalgico" e "inattuale". Al contrario, le risorse di equilibrio politico-istituzionale garantite nello Stato moderno dall'istituzione monarchica costituiscono un patrimonio acquisito della scienza e dell'esperienza politiche che, nella crisi evidente delle democrazie contemporanee, conserva ancora intatte le sue motivazioni ideali e strutturali. Lo scritto in appendice di Luigi Einaudi arricchisce il testo di una importante testimonianza sulle ragioni storiche della monarchia in Italia. Domenico Fisichella è stato Vice Presidente del Senato. Professore ordinario di Dottrina dello Stato e di Scienza della Politica nelle Università di Firenze e Roma "La Sapienza", è stato Ministro per i Beni Culturali e Ambientali. Medaglia d'oro ai Benemeriti della Cultura della Scuola e dell'Arte, editorialista di importanti quotidiani, è autore di numerose "voci" enciclopediche e di oltre venti volumi. Tra questi ultimi. Elezioni e democrazia. Un'analisi comparata (Il Mulino, Bologna 1982). Il denaro e la democrazia. Dall'antica Grecia alle multinazionli (La Nuova Italia Scientifica, NIS. Roma 1990), Totlitarismo. Un regime del nostro tempo (NIS,. 1994). Il potere nella società industriale (Latenza. Roma-Bari 1995), La rappresentanza politica (Latenza, 1996), L'altro potere. Tecnocrazia e gruppi di pressione (Laterza, 1997), Le ragioni del torto. La critica di destra alla democrazia (Ed. Ideazione. Roma 1998), Lineamenti di scienza politica. Concetti, problemi, teorie (Carocci. Roma 1998. 7a ristampa aggiornata). Per i nostri tipi è uscito, infine, il volume Istituzioni politiche. MARCO EDITORE pagg. 113 - Euro 6,20 ISBN 88-85350-67-4
I vantaggi della Monarchia. ... La monarchia rende visibile e simboleggia la sovranità, proprietà ineludibile della politicità. La monarchia coniuga le prestazioni della pluralità e i vantaggi dell'unità, indispensabili per l'esercizio insieme coerente ed efficace della sovranità. Correlativamente, evita la perversione del pluralismo, cioè la polverizzazione decisionale e rappresentativa, e in pari tempo evita l'ipertrofia monocratica. A questo duplice fine, attorno alla monarchia tende a realizzarsi una aristocrazia dello spirito di servizio capace sia di contenere e riequilibrare le spinte particolaristiche inerenti agli interessi oligarchici sia di conferire ricchezza operativa al processo di mantenimento e trasmissione dello spirito civico nel meccanismo di gestione della repubblica. La monarchia: antidoto alle oligarchie. La monarchia è più sottratta della democrazia repubblicana all'influenza del denaro, del numero, della competenza, persino della nascita, e alle pressioni dei loro interessi particolari e organizzazioni relative. Non solo. Mentre numero e denaro così potenti nella repubblica democratica tendono ad esaltare la forza della quantità essendo entrambi elementi quantitativi la monarchia integra il dato quantitativo con il dato qualitativo, essenziale per essa sub specie sia di educazione sia di distinzioni sia di tradizione culturale morale e storica. La corona per l'interesse generale. Certo, anche della monarchia si può dire, lo sappiamo bene, che ha il suo "interesse particolare". Ma tale interesse, che è la persistenza della Corona, coincide con l'interesse generale della nazione, poichè è interesse della dinastia regia equilibrare i particolarismi delle oligarchie del denaro, del numero, della nascita, della competenza, evitando che ciascuna prevarichi fino a minacciare la Corona: ma tale equilibrio è in pari tempo l'interesse generale della nazione, affinchè nessuno concentri troppo potere e soggioghi gli altri. Il re è "preparato", attraverso l'educazione, a tale scopo. La monarchia come stimolo e freno. Ecco perchè, quando sulla società incombe la cappa dell'immobilismo, alla monarchia preme agevolare i fattori di riforma e trasformazione, quando la società è sollecitata da stimoli troppo forti di cambiamento poco meditato, alla monarchia pertiene un ruolo di riflessione perchè la dinamica sociale, civile e istituzionale sia condotta entro limiti più pacati e graduali. Nell'un caso e nell'altro, nè di destra nè di sinistra. Roma, 10 Maggio 1946 - Primo bagno di folla per Re Umberto II La monarchia non può avere il colore delle parti. Grazie alla sua continuità, alla sua autonomia rispetto alle parti, alla sua identificazione con lo Stato e le sue istituzioni fondanti, la monarchia ereditaria sottrae il vertice dello Stato al conflitto delle elezioni ricorrenti, ai relativi do ut des. Risolve in maniera automatica e comparativamente pacifica il problema, cruciale in ogni sistema politico, della successione protestativa al più alto livello statuale. Incarna, con la sua continuità, la collaborazione delle generazioni. Nel variare inevitabile e anche legittimo di congiunture, orientamenti, umori popolari, assolve tuttavia quella che è la funzione fondamentale e distintiva della leadership politica, cioè la proiezione nei tempi lunghi, la costanza delle grandi direttrici e dei supremi e permanenti interessi nazionali , mentre la politica democratica repubblicana è condannata dalla sua stessa intrinseca struttura alla proiezione e all'esaurimento nei tempi brevi, nell'immediatezza, improvvisazione, ondivaghezza, provvisorietà, contradditorietà, precarietà e contingenza di interessi, aspettative, suggestioni, emotività, strepiti e domande particolari. La monarchia vincola le strutture fondamentali della statualità. La monarchia vincola le strutture fondamentali della statualità (forze armate, diplomazia, magistratura, alta amministrazione) alla Corona, alle sue regole, alle sue lealtà, proteggendo tali importanti uffici dalle pressioni e invadenze delle fazioni. Evita che le parti coinvolgano nei loro interessi speciali e particolari (siano essi politici, economici, culturali) l'istituzione simbolo dell'unità nazionale. Salvaguarda così lo Stato nella sua coerenza decisionale e operativa, la sua persistenza e l'imparzialità delle sue leggi. Garantisce ai singoli e ai gruppi, nell'autonomia della società civile, tutta la libertà compatibile con la dignità e l'esercizio dell'autorità. La monarchia è capace di autocorrezione. Sempre entro gli spazi della natura umana, così gravemente vulnerata nella sua disponibilità verso il bene, la monarchia è capace di autocorrezione almeno altrettanto della democrazia, perchè se è varo che nei reggimenti democratici l'attitudine autocorrettiva è assecondata dal principio del dissenso (che consente talvolta di evitare, talvolta di evidenziare gli errori), nella monarchia tale attitudine è incoraggiata dal senso del limite, dalla temperanza, così strettamente legata al ruolo equilibratore. Certo, la monarchia può perdere capacità autocorrettiva, ad esempio se diventa assolutismo Regio. Ma altrettanto vale per la democrazia, se diventa assolutismo democratico, con le sue due facce uguali e contrarie, talora divergenti talora convergenti: l'eccesso di dispersione, la tirannide della maggioranza, sia essa popolare o parlamentare. Senza dire che mentre per la monarchia europea l'asolutismo è una forzatura (infatti, da Machiavelli a Montesquieu la grande tradizione culturale del nostro continente lega costantemente la monarchia alla co-esistenza con una varietà di poteri intermedi), per la democrazia repubblicana l'assolutismo è nelle sue stesse premesse dottrinali e persino antropologiche, non riconoscendo la democrazia repubblicana altro titolo potestativo salvo il numero, la conta dei voti. La vocazione monistica è dunque in principio, più forte e più coerente nella democrazia repubblicana che nella monarchia. Costruzione dello stato nazionale e dinastia sabauda. Tutti conosciamo la realtà istituzionale della penisola prima del processo risorgimentale, e tutti sappiamo, ad esempio, che altre casate importanti regnavano su porzioni del territorio italiano. C'era dunque una situazione potenzialmente aperta, nella quale ad altre dinastie si sarebbe offerta l'opportunità di costruzione della nazione e dello stato unitario. Ciò non è accaduto. Mentre il resto delle altre case regnanti, pure di altissimo lignaggio, è rimasto sostanzialmente privo di iniziativa e legato a interessi preminenti di potenze straniere, Casa Savoia è stata l'unica dinastia che ha rischiato in proprio, che si è messa in discussione, che non si è sottratta a quel compito unitario cui altri grandi popoli dalla Francia alla Gran Bretagna avevano atteso già da secoli, ha dunque accettato la sfida dello State building e del Nation building ponendo a disposizione i suoi statisti, le sue armate, la sua diplomazia, trovandosi spesso sulla sua strada come ostacoli proprio quelle dinastie e quei regimi così legati ad altri interessi consolidati, stranieri o ecumenici. I Savoia e l'interesse generale dell'Italia. Senza dubbio, la dinastia sabauda può avere perseguito anche un suo interesse espansivo, e inoltre ha giocato sullo scacchiere internazionale collegandosi ora a questa ora a quest'altra potenza, ispirandosi ora ad una prospettiva culturale ora a un'altra. Ma tale dinamica ha coinciso con l'interesse generale dell'Italia a diventare finalmente Stato nazionale, come tutte le tendenze europee del tempo esigevano, è stata dunque costantemente canalizzata a questo fine. Perciò, certe romanticherie letterarie, tese a rivendicare suggestioni neo-borboniche o neo-lorenesi o neo-papaline e via dicendo, certe rivisitazioni storiografiche, miranti a sottolineare "prepotenze piemontesi" come se la politica agisse sempre in guanti bianchi, certi rigurgiti anti-unitari nutriti di umori filo-asburgici, nulla possono togliere al fatto che senza davvero trascurare i meriti culturali, le realizzazioni istituzionali e i risultati morali e materiali riferibili ad altre dinastie, senza nulla sottrarre al rispetto che si deve a grandi tradizioni incarnate dalle dinastie poi sconfitte Casa Savoia ha conquistato sul terreno cruciale e ineludibile dell'unità nazionale il suo primato, mentre gli altri soggetti istituzionali hanno mancato proprio su tale terreno. Casa Savoia e Stato nazionale sono legati in un nesso genetico che nessuna contorsione polemica, di qualunque segno, può cancellare... Monarchia e fascismo. ...Le responsabilità dell'ascesa al potere del movimento fascista rinviano all'incapacità delle forze partitiche liberali, democratiche, cattoliche, e socialiste di assicurare un'adeguata governabilità alla nazione, di realizzare la "nazionalizzazione delle masse" in un quadro di adesione alle "regole del gioco" competitive, di perseguire forme pacifiche di convivenza sociale. Il fascismo non è la causa, ma il sintomo della crisi dell'assetto politico rappresentativo nell'emergenza delle prime formazioni di massa. E si può aggiungere che nel movimento fascista, coacervo di indirizzi culturali e istituzionali variamente assortiti (passatisti e futuristi, Strapaese Stracittà, monarchici e repubblicani, cattolici e laici, industrialisti e anti-industrialisti, conservatori e rivoluzionari, nazionalisti e socialisti), era presente anche una componente di ispirazione e vocazione totalitaria. Se questa componente fosse prevalsa, l'Italia avrebbe probabilmente conosciuto un regime totalitario, con tutti gli immensi costi umani, morali, civili, che accompagnano tale forma di dominio politico. La monarchia, però, ha rappresentato un deterrente assai significativo alla trasformazione della dittatura fascista in totalitarismo. Non soltanto, infatti, alla Corona è rimasto collegato in un nesso di sostanziale lealtà primaria il vertice dello Stato, con le sue strutture portanti (forze armate, magistratura, diplomazia, alta amministrazione), mantenendo così una misura apprezzabile di autonomia rispetto al partito unico, ma inoltre la Casa regnante ha contribuito a far sì che nel movimento fascista prendessero e mantenessero il sopravvento quei filoni, quegli orientamenti, quegli uomini, meno inclini alla metamorfosi totalitaria, talchè il "ventennio" può ben essere definito un'esperienza autoritaria, non un regime totalitario. Senza il contrappeso monarchico, la via verso la degenerazione totalitaria sarebbe risultata più sgombra e più facile. La crisi della democrazia repubblicana in Italia. Che la crisi della democrazia repubblicana in Italia sia pesante, lo si vede da mille segni. Ne abbiamo accennati molti. Possiamo aggiungere una inquietante decadenza del costume pubblico, gli scontri mortificanti tra poteri costituzionali e al loro interno, una cronica instabilità governativa, una ricorrente lotta di fazioni entro istituzioni delicatissime come la magistratura, le risse tra i corpi di polizia, lo sbandamento e la mortificazione materiale e morale delle forze armate, l'assenza di una politica estera, il senso di frustrazione collettiva, la sfiducia verso la pubblica amministrazione, una burocrazia pubblica i cui unici sussulti di vitalità si registrano quando si tratta di difendere ed incrementare gli innumerevoli orticelli "corporativi", una elefantiasi legislativa che iretisce gli organi statali, paratatali e locali e imprigiona la società civile, il disincanto dei cittadini verso la politica e i suoi uomini, l'anarchismo corrosivo e negatore sia della pacata autorità sia della responsabile libertà , il degrado della scuola e dell'università, persino l'integrità teritoriale della nazione posta in discussione da dissennate tendenze secessioniste. La democrazia, da sola, rischia di non farcela, di rimanere irreparabilmente impaniata nella palude di tutte queste sue contraddizioni e inefficienze, con esiti che potrebbero essere esiziali. La democrazia ha bisogno di aiuto, per evitare guai peggiori. deve accettare una prova di realismo, per evitare di sparire o di svuotarsi fino a snaturarsi del tutto. E deve farlo in tempo, prima che sia troppo tardi. Possiamo non reagire, ma l'alternativa alla mancanza di reazione è l'inarrestabile declino. Invece di rimanere legata con testardaggine feticistica all'unico ed esclusivo principio elettivo (del resto continuamente smentito nella pratica) , la democrazia si renda conto che la "divisione del lavoro" e la "cooperazione degli sforzi" tra principio elettivo e principio ereditario ciascuno preposto a un tipo essenziale di istituzione rappresentano la soluzione più ragionevole ed equilibrata, nell'ottica di quel "governo misto e temperato" che è centrale nella storia europea. E non si dica che il pricipio ereditario è un principio casuale, in questo senso "non logico". Basta osservare l'andamento e il risultato delle campagne e competizioni elettorali nelle democrazie di massa per rendersi conto dell'immenso rilievo che vi assumono, anche statisticamente, gli elementi di casualità e di "non logicità". Gli studiosi del comportamento di voto sanno bene quali e quante motivazioni spesso assurde, anche contraddittorie, banali, epidermiche oppure acriticamente persistenti, pesano potentemente nelle scelte degli elettori. Al confronto, il principio ereditario è un capolavoro di coerenza razionale. D'altro canto la "combinazione" di due "casualità" ha un potenziale di bilanciamnto ed equilibrio superiore ad una unica "casualità" assolutizzata, quale è il criterio elettivo assunto senza residui e tout court. Così come l'uguaglianza reale deriva sopratutto dalla "attenuazione" delle disuguaglianze in virtù del loro bilanciamento reciproco, allo stesso modo due "casualità" di segno diverso si attenuano per reciproca elisione e compensazione. Quando il voto è troppo statico, il monarca ha interesse all'innovazione, quando il voto è troppo volatile, il monarca ha intresse alla stabilità. Il ripristino dell'autorità reale. L'impegno civile per il ripristino dell'autorità regia va visto come il segnale, l'occasione e il volano di quella complessa, pluridimensionale riforma intellettuale e morale, di quel rivolgimento degli spiriti, di quella ripresa della speranza, di quella ricostruzione istituzionale dello Stato che sono essenziali per affrontare attrezzati le sfide dell'avvenire. Non è faccenda di sentimenti, anche se questi contano nel mantenimento dell'identità e della continuità di un popolo. E' sopratutto questione di interesse pubblico, se l'Italia vuole ridiventare una nazione, come pure è stata e come oggi non è più. PROF. DOMENICO FISICHELLA (ELOGIO DELLA MONARCHIA)

L'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

L'ordine più antico, quello di San Lazzaro, fu fondato come ordine militare religioso al tempo del Regno Latino di Gerusalemme verso l'anno 1090.L'ordine era concepito per la cura dei lebbrosi, e molti suoi membri erano lebbrosi guariti divenuti cavalieri. Con la caduta di Acri nel 1291 i cavalieri di San Lazzaro lasciarono la Terra Santa e l'Egitto per trasferirsi prima in Francia, e poi, nel 1311, a Napoli. L'Ordine di San Maurizio, invece, venne fondato nel 1434 da Amedeo VIII di Savoia, in seguito divenuto l'antipapa Felice V. L'unificazione dei due ordini avvenne il 22 gennaio 1573 per volere del duca Emanuele Filiberto di Savoia tramite Magistrali Patenti[1]. Nelle costituzioni del nuovo ordine i cavalieri dovevano possedere quattro quarti di nobiltà e dovevano vivere in convento per almeno cinque anni. Carlo Alberto aprì l'ordine anche ai non nobili e Vittorio Emanuele II lo ridusse a Ordine dinastico onorifico con i cinque gradi tradizionali: cavaliere di gran croce, grande ufficiale, commendatore, cavaliere ufficiale, cavaliere. In base alla XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana il 1º gennaio 1948, l'Ordine Mauriziano è conservato nel suolo dello Stato italiano riconducendolo all'esclusivo e originario compito di ente ospedaliero. Con la legge del 3 marzo 1951, nr.178, all'art.9, lo Stato italiano ha cessato il conferimento dell'ordine, consentendo comunque l'uso delle onorificenze già conferite, escluso ogni diritto di precedenza nelle pubbliche cerimonie. Trattandosi tuttavia di un Ordine Dinastico e non statuale, il conferimento è legittimamente proseguito in modo autonomo da parte della Casa di Savoia[2]. L'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è un'associazione senza fini di lucro a scopo benefico. Agli aspiranti cavalieri sono, per statuto, richieste le doti di onestà, fedeltà, comprensione, generosità e perdono. L'ordine conta oggi circa 4 000 membri, fra cavalieri (associati maschi) e dame (associati femmine), distribuiti in 33 paesi e divisi in delegazioni nazionali e regionali. Normalmente vengono tenute due cerimonie ufficiali all'anno, durante le quali tutti gli associati sono invitati a partecipare. La prima viene celebrata in Francia, nell'Abbazia di Altacomba, e rappresenta la commemorazione dei membri deceduti di Casa Savoia. La seconda rappresenta il Capitolo Generale dell'Ordine e viene tenuta nell'abbazia svizzera di San Maurizio di Agauno, presso Martigny. Nell'occasione vengono introdotti i nuovi associati e ha luogo un ballo di beneficenza. L'accesso all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è riservato a tutti i membri della nobiltà italiana ed europea, oltre a coloro i quali, esentati con decreto magistrale, facciano parte del mondo delle scienze, dell'arte, della letteratura, dell'industria e degli affari, col presupposto che godano di ottima reputazione tra i loro pari e che condividano come obiettivo le finalità umanitarie dell'ordine stesso. Per antica consuetudine, l'insignito del cavalierato gode della nobiltà personale. L'ammissione in via di giustizia è prova del titolo primordiale di nobiltà per l'Ordine di Malta, come recita il Massimario Nobiliare del Magistrale Collegio dei Consultori Araldici dello SMOM.

Cristina Jonghi Lavarini.

Stemma della Nob.Dott. Cristina Emma Maria Jonghi Lavarini dei Baroni von Urnavas (figlia del Comm.Dott. Cesare Giovanni e della N.D. Dama Dott. Alda Ganassini dei Conti di Camerati), Volontaria della Croce Bianca di Milano, Dirigente d'Azienda ed appassionata fotografa. Nella foto con Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele IV, Duca di Savoia e Principe di Napoli, Capo della Real Casa.

Stemmi Jonghi Lavarini a Milano.

Stemmi di famiglia presenti nella storica plazzina "fraterna" milanese (costruita nei primi anni del 1900) e nella casa privata del Nob.Arch. Edmondo Maria Jonghi Lavarini di Baio dei Baroni di Ornavasso.

Santa Messa per la Regina Elena.