venerdì 30 novembre 2012

Famiglie Nobili della Bergamasca.

Adelasio: da Adelchis, nobile Stirpe longobarda. Agliardi: da Adalhard, nobile Stirpe longobarda di parte ghibellina. Albani: dal nome latino Albanus, antico e nobile casato originario di Albano S. Alessandro, feroce avversario dei Brembati. Albrici: da Albrik, nobile casato scalvino longobardo. Ambiveri: dal paese celtico di Ambivere. Bonghi: dal nome germanico Bongis, antico e nobile casato fra i più in vista della città di Bergamo; storico alleato guelfo di Colleoni e Rivola contro i potentissimi e ghibellini Suardi. Brembati: dal toponimo celtico Brembate, storici avversari degli Albani. Calepio: dal toponimo d’etimo forse greco Calepio. Sarebbero un ramo dei longobardi Martinengo. Camerati: famiglia della Val Brembana, signori feudali di Camerata, Averara, Mazzoleni e Primaluna. Capitani: famiglia d’origine scalvina che diede vita ai Capitanio e ai Cattaneo. Carrara: famiglia longobarda di Serina, il cui cognome vanta oltre 2.000 famiglie nel Bergamasco. Colleoni: ramo dei Ghisalberti, d’origine longobarda e di parte guelfa che diede i natali al valoroso prode orobico Bartolomeo Colleoni. Il nome è dovuto alla virilità del capostipite. Crotta/Crotti: pare antica famiglia bergamasca di origine arimannica il cui nome potrebbe derivare o dalle grotte che abitavano o dal termine germanico hroth, “gloria”, lo stesso che è alla base del cognome Rota. Forse sono imparentate. Fanzago: originaria di Clusone, ramo dei longobardi Aliprandi di Milano, il cui capostipite fu forse nomato germanicamente aggiungendo il suffisso prediale celtico -aco. Fogaccia: famiglia clusonese originaria del Bresciano; più che alla focaccia sarebbe meglio pensare ad un nome germanico del tipo Folko, “Popolo in armi”, ovviamente corrotto. Ghisalberti: da Gisilbert, Stirpe longobarda comitale durante la Contea franca di Bergamo. Essa generò il casato dei Colleoni. Ginami: forse da Wilhelm, nobile famiglia della Val Seriana. Grumelli: dal toponimo celtico Grumello, casato germanico guelfo. Locatelli: casato valdimagnino d’origine longobarda, che prende il nome dal paese celtico di Locatello e che ha animato la seconda famiglia più numerosa del Bergamasco. Lupi: ramo brembano dei longobardi Benzoni, di certo traduzione latina del germanico Wolf, che significa “lupo, guerriero”. Maironi: illustre famiglia il cui cognome deriva dal nome germanico Mayer, “maggiore”. Mapelli: nobile casato originario del paese celtico di Mapello, il cui capostipite parrebbe essere un Waldericus di chiara origine nordica. Martinengo: dal toponimo longobardo di Martinengo, casato d’origine orobico-bresciana potentissimo in Lombardia e filo-imperiale. Medolago: dal toponimo celtico di Medolago, casato risalente ai germanici Vavassori isolani. Moroni: nobile famiglia germanica della città di Bergamo, il cui nome non si esclude possa derivare dalla pianta del gelso che in bergamasco suona “murù”. Mozzi: deriva dal toponimo celtico Mozzo ed è un’antica e nobile famiglia orobica di stampo longobardo. Prezzati: dal toponimo celtico Prezzate, da cui uscì il nobile longobardo Adalbert divenuto monaco cluniacense fondatore del monastero di Pontida, in cui avvenne il fatidico giuramento lombardo. Ad esso è legata l’abbazia di Fontanella, fondata dalla longobarda Theoberga, cugina del conte di Bergamo Gisilbert. Rivola: antica e nobile famiglia longobarda di parte guelfa, alleata di Colleoni e Bonghi contro i ghibellini Suardi. Rota: il casato più numeroso del Bergamasco, valdimagnino di origine longobarda, legato al nome del terzo e ultimo duca longobardo di Bergamo Rotharit. Signori: casato di Comenduno, toponimo celtico, nato da Wapper o Weber, cavaliere svevo di Federico II. Solza: nobile famiglia germanica di Stirpe imperiale, che diede il nome al toponimo isolano Solza, tra l’altro paese natale del Colleoni. L’etimo potrebbe derivare dall’aferesi di Answald. Suardi: la più nobile famiglia del Bergamasco, di origine longobarda nata da un certo Sigward, funzionario del Regno Franco. Fu fedelmente ghibellina e alleata dei Visconti. Legò le sue vicende a quelle della città di Bergamo. Tadini: nobile famiglia di Martinengo, nata da un certo Tado o Taido, nome longobardo che significa “Popolo”. Tasso: dal nome germanico Tasso, originaria della Val Brembana, di Cornello e di Bretto (dal celtico brento, “vasca, truogolo”), e trasferitasi a Bergamo. Diede i natali ai poeti Bernardo e Torquato, ma prima di ciò si legò ai Della Torre fondando il casato dei Thurn und Taxis germanici che acquisirono il monopolio delle poste europee. Terzi: famiglia longobarda ghibellina, dal nome Terzo. Vertova: dal toponimo celtico di Vertova, e di origine franca. Vimercati: di origine brianzola, ebbe un ramo illustre nel Bergamasco. Zenoni: casato bergamasco longobardo legato al culto ariano di San Zenone.

Antica Nobiltà Lombarda.

Adda (D’): famiglia milanese di antichissima origine imparentata coi Visconti. Airoldi: famiglia lecchese di origine longobarda (da Hariowald, “condottiero”). Aleramici: famiglia feudale piemontese di origine franca che governò tramite la Marca omonima Monferrato, Saluzzo, Savona e altre terre tra Lombardia e Liguria. Suo capostipite Aleramo, franco, marchese del Monferrato (da Heilram, “corvo sacro”). Aliprandi: famiglia milanese di ceppo longobardo che ebbe il predominio sulla città di Monza; la tradizione li vuole discendenti di re Liutprando (da Adalbrand, “nobile spada”). Anguissola: famiglia aristocratica piacentina di origine bizantina (pare). Anscarici: dinastia marchionale franca, a capo dell’omonima Marca, che estese il proprio dominio su buona parte della Lombardia. Suo capostipite Anscario che ottenne la Marca di Ivrea (da Ansgair, “lancia divina”). Archinto: feudatari del SRI, milanesi. Arcimboldi: famiglia patrizia milanese originaria di Parma. Arduinici: dinastia franca a capo dell’omonima marca che dominava Torino e il Piemonte. Suo capostipite Arduino il Glabro (da Hardwin, “amico duro, forte”). Beccaria: nobile casata pavese che tenne signoria sulla città di Pavia per molto tempo. Di origine longobarda derivano il loro cognome dai termini berk + skaria ossia “capitano della difesa”. Benaglio: famiglia orobico-lecchese di origine longobarda, alleati dei Torriani. Besozzi: famiglia dell’Alta Insubria di origine longobarda, che prende il nome dal feudo di Besozzo. Bonacolsi: primi signori di Mantova, originari dell’Emilia e di stirpe longobarda. Bottigella: antica e illustre casata di Pavia. Brivio: antica famiglia nobile milanese, fatta tradizionalmente risalire ai duchi di Brünswick. Canossa: Attoni di Canossa, potente famiglia feudale di origine longobarda, insediatasi nelle valli dell’Appennino reggiano. Signori di Reggio. Casaloldi: famiglia di conti rurali medievali di origine longobarda, signori della Lombardia Orientale. Devono il nome a Casaloldo, nel Mantovano. Casati: famiglia brianzola di origine longobarda. Castiglioni: importante famiglia insubrica. Cavalcabò: signori di Cremona di origine longobarda, discendenti degli Obertenghi. Correggio (da): famiglia feudale di Parma e Correggio. Crivelli: potente famiglia nobiliare del Milanese di origine franca. Durini: nobile famiglia di origine lariano-milanese. Della Torre (Torriani): primi signori di Milano e della Lombardia, di origine franca e discendenti della famiglia imperiale di Carlo Magno. Guelfi. Estensi: nobile famiglia di origine longobarda che prese il nome dal feudo d’Este (Padova), signori di Ferrara, Modena e Reggio. Si sono originati dagli Obertenghi, così come i Pallavicino, i Cavalcabò, i Malaspina. Gambara: famiglia bresciana di origine bavarese; il loro nome è legato alla leggendaria regina dei Longobardi, la valchiria Gambara (da gamal, “vecchio” + bertha “splendente”). Ghisolfi: antica famiglia longobarda mantovana (da Gisilwulf, “lupo-guerriero forte col dardo”). Gonzaga (Corradi-Gonzaga): antica e nobile famiglia reggiano-mantovana di origine germanica che sostituì i Bonacolsi alla guida di Mantova. Prendono il nome dal feudo di Gonzaga possedimento del capostipite Corradi (da Konrad, “consigliere ardito”). Lambertenghi: famiglia longobarda del Comasco (dal nome Landbert, “illustre in Patria” + suffisso etnico -ing). Lampugnani: antichissima e nobile famiglia milanese di origine germanica (di Lampugnano). Landriani: nobile famiglia milanese germanica feudataria di Landriano (Pavia). Lucini: famiglia comasca di origine longobarda (dal celtico leukos, “bosco sacro”). Macchi: nobile famiglia varesotta (dal celtico makos, “bosco”). Maggi: nobile famiglia bresciana guelfa (potrebbe derivare il suo nome non tanto dal mese omonimo quanto dall’ipocoristico germanico di nomi in magin-, “potenza”). Melzi: una delle più antiche famiglie nobili di Milano. Obertenghi: dinastia longobarda il cui capostipite è Oberto (audha, “proprietà” + bertha “splendente”, + suffisso etnico -ing), reggente dell’omonima Marca che dominava la Liguria orientale e l’Emilia occidentale. Odescalchi: nobile casata comasca di origine longobarda (da Godescalcus, “servo di Dio”). Pallavicino: signori di Cremona, Parma, Piacenza di origine longobarda (stirpe obertenga). Pico della Mirandola: nobile famiglia germanica che ebbe la sovranità sul Ducato di Mirandola, poi assorbito dagli Estensi di Modena. Porro: nobile casata brianzola di origine germanica. Ruspini: famiglia decurionale comasca il cui nome deriva dal germanico ruspan, “rozzo, ruvido”. Sannazzaro: antica famiglia nobiliare (burgunda?) del Pavese e del Monferrato. Serbelloni: importante famiglia patrizia di Milano. Sessa: arimanni longobardi milanesi originari di Carcano (nel Comasco) e feudatari di Sessa, nel Ticino. Stampa: antica e nobile famiglia milanese di origine franca. Taverna: nobile famiglia milanese. Trivulzio: antica casata di Milano originaria del Pavese. Verri: nobile famiglia della bassa Brianza stabilitasi a Milano. Vialardi: nobile famiglia piemontese di origine longobarda (da Widalhard, “duro legno”). Visconti: ghibellini signori e duchi di Milano, di origine longobarda, che sostituirono i Torriani nel dominio della capitale e della Lombardia; natii di Massino, nel Novarese. Ad essi subentrarono i romagnoli Sforza.

mercoledì 28 novembre 2012

"Uomini, in piedi, in mezzo alle rovine"

"È importante, è essenziale, che si costituisca una élite la quale, in una raccolta intensità, definisca secondo un rigore intellettuale ed un'assoluta intransigenza l'idea, in funzione della quale si deve essere uniti, ed affermi questa idea soprattutto nella forma dell'uomo nuovo, dell'uomo della resistenza, dell'uomo dritto fra le rovine. Se sarà dato andar oltre questo periodo di crisi e di ordine vacillante e illusorio, solo a quest'uomo spetterà il futuro. Ma quand'anche il destino che il mondo moderno si è creato, e che ora sta travolgendolo, non dovesse esser contenuto, presso a tali premesse le posizioni interne saranno mantenute: in qualsiasi evenienza ciò che potrà esser fatto sarà fatto e apparterremo a quella patria, che da nessun nemico potrà mai essere né occupata né distrutta." (Julius Evola)

martedì 27 novembre 2012

Gli assoluti vantaggi della Monarchia.

Tra veri e falsi «revisionismi», che investono sia la storia sia le grandi categorie concettuali della politica, ora aumentando la conoscenza ora viceversa vulnerandola gravemente, vi è spazio anche per una rivisitazione serena della «questione istituzionale». Le tendenze oligarchiche di molte democrazie repubblicane sono ormai un dato evidente di realtà. E ciò, nonostante tutte le proclamazioni sulla «crescita della democrazia», suggerisce che siamo in presenza di una crisi democratica assai significativa. Vi è, insieme, una carenza di autorità e di libertà che segnala un vuoto istituzionale, prodotto dall'eliminazione di quel punto di equilibrio rappresentato, per lo Stato e per la Nazione, da una monarchia come tale indipendente da partiti e da interessi particolari, radicata in quella grande impresa che è stata l'edificazione dell'unità nazionale. Di ciò si occupa il presente volume, in una nuova edizione arricchita da un'ampia Premessa e da uno scritto di Luigi Einaudi. Il tema affrontato da Domenico Fisichella in questo suo limpido Elogio della monarchia è solo apparentemente "nostalgico" e "inattuale". Al contrario, le risorse di equilibrio politico-istituzionale garantite nello Stato moderno dall'istituzione monarchica costituiscono un patrimonio acquisito della scienza e dell'esperienza politiche che, nella crisi evidente delle democrazie contemporanee, conserva ancora intatte le sue motivazioni ideali e strutturali. Lo scritto in appendice di Luigi Einaudi arricchisce il testo di una importante testimonianza sulle ragioni storiche della monarchia in Italia. Domenico Fisichella è stato Vice Presidente del Senato. Professore ordinario di Dottrina dello Stato e di Scienza della Politica nelle Università di Firenze e Roma "La Sapienza", è stato Ministro per i Beni Culturali e Ambientali. Medaglia d'oro ai Benemeriti della Cultura della Scuola e dell'Arte, editorialista di importanti quotidiani, è autore di numerose "voci" enciclopediche e di oltre venti volumi. Tra questi ultimi. Elezioni e democrazia. Un'analisi comparata (Il Mulino, Bologna 1982). Il denaro e la democrazia. Dall'antica Grecia alle multinazionli (La Nuova Italia Scientifica, NIS. Roma 1990), Totlitarismo. Un regime del nostro tempo (NIS,. 1994). Il potere nella società industriale (Latenza. Roma-Bari 1995), La rappresentanza politica (Latenza, 1996), L'altro potere. Tecnocrazia e gruppi di pressione (Laterza, 1997), Le ragioni del torto. La critica di destra alla democrazia (Ed. Ideazione. Roma 1998), Lineamenti di scienza politica. Concetti, problemi, teorie (Carocci. Roma 1998. 7a ristampa aggiornata). Per i nostri tipi è uscito, infine, il volume Istituzioni politiche. MARCO EDITORE pagg. 113 - Euro 6,20 ISBN 88-85350-67-4
I vantaggi della Monarchia. ... La monarchia rende visibile e simboleggia la sovranità, proprietà ineludibile della politicità. La monarchia coniuga le prestazioni della pluralità e i vantaggi dell'unità, indispensabili per l'esercizio insieme coerente ed efficace della sovranità. Correlativamente, evita la perversione del pluralismo, cioè la polverizzazione decisionale e rappresentativa, e in pari tempo evita l'ipertrofia monocratica. A questo duplice fine, attorno alla monarchia tende a realizzarsi una aristocrazia dello spirito di servizio capace sia di contenere e riequilibrare le spinte particolaristiche inerenti agli interessi oligarchici sia di conferire ricchezza operativa al processo di mantenimento e trasmissione dello spirito civico nel meccanismo di gestione della repubblica. La monarchia: antidoto alle oligarchie. La monarchia è più sottratta della democrazia repubblicana all'influenza del denaro, del numero, della competenza, persino della nascita, e alle pressioni dei loro interessi particolari e organizzazioni relative. Non solo. Mentre numero e denaro così potenti nella repubblica democratica tendono ad esaltare la forza della quantità essendo entrambi elementi quantitativi la monarchia integra il dato quantitativo con il dato qualitativo, essenziale per essa sub specie sia di educazione sia di distinzioni sia di tradizione culturale morale e storica. La corona per l'interesse generale. Certo, anche della monarchia si può dire, lo sappiamo bene, che ha il suo "interesse particolare". Ma tale interesse, che è la persistenza della Corona, coincide con l'interesse generale della nazione, poichè è interesse della dinastia regia equilibrare i particolarismi delle oligarchie del denaro, del numero, della nascita, della competenza, evitando che ciascuna prevarichi fino a minacciare la Corona: ma tale equilibrio è in pari tempo l'interesse generale della nazione, affinchè nessuno concentri troppo potere e soggioghi gli altri. Il re è "preparato", attraverso l'educazione, a tale scopo. La monarchia come stimolo e freno. Ecco perchè, quando sulla società incombe la cappa dell'immobilismo, alla monarchia preme agevolare i fattori di riforma e trasformazione, quando la società è sollecitata da stimoli troppo forti di cambiamento poco meditato, alla monarchia pertiene un ruolo di riflessione perchè la dinamica sociale, civile e istituzionale sia condotta entro limiti più pacati e graduali. Nell'un caso e nell'altro, nè di destra nè di sinistra. Roma, 10 Maggio 1946 - Primo bagno di folla per Re Umberto II La monarchia non può avere il colore delle parti. Grazie alla sua continuità, alla sua autonomia rispetto alle parti, alla sua identificazione con lo Stato e le sue istituzioni fondanti, la monarchia ereditaria sottrae il vertice dello Stato al conflitto delle elezioni ricorrenti, ai relativi do ut des. Risolve in maniera automatica e comparativamente pacifica il problema, cruciale in ogni sistema politico, della successione protestativa al più alto livello statuale. Incarna, con la sua continuità, la collaborazione delle generazioni. Nel variare inevitabile e anche legittimo di congiunture, orientamenti, umori popolari, assolve tuttavia quella che è la funzione fondamentale e distintiva della leadership politica, cioè la proiezione nei tempi lunghi, la costanza delle grandi direttrici e dei supremi e permanenti interessi nazionali , mentre la politica democratica repubblicana è condannata dalla sua stessa intrinseca struttura alla proiezione e all'esaurimento nei tempi brevi, nell'immediatezza, improvvisazione, ondivaghezza, provvisorietà, contradditorietà, precarietà e contingenza di interessi, aspettative, suggestioni, emotività, strepiti e domande particolari. La monarchia vincola le strutture fondamentali della statualità. La monarchia vincola le strutture fondamentali della statualità (forze armate, diplomazia, magistratura, alta amministrazione) alla Corona, alle sue regole, alle sue lealtà, proteggendo tali importanti uffici dalle pressioni e invadenze delle fazioni. Evita che le parti coinvolgano nei loro interessi speciali e particolari (siano essi politici, economici, culturali) l'istituzione simbolo dell'unità nazionale. Salvaguarda così lo Stato nella sua coerenza decisionale e operativa, la sua persistenza e l'imparzialità delle sue leggi. Garantisce ai singoli e ai gruppi, nell'autonomia della società civile, tutta la libertà compatibile con la dignità e l'esercizio dell'autorità. La monarchia è capace di autocorrezione. Sempre entro gli spazi della natura umana, così gravemente vulnerata nella sua disponibilità verso il bene, la monarchia è capace di autocorrezione almeno altrettanto della democrazia, perchè se è varo che nei reggimenti democratici l'attitudine autocorrettiva è assecondata dal principio del dissenso (che consente talvolta di evitare, talvolta di evidenziare gli errori), nella monarchia tale attitudine è incoraggiata dal senso del limite, dalla temperanza, così strettamente legata al ruolo equilibratore. Certo, la monarchia può perdere capacità autocorrettiva, ad esempio se diventa assolutismo Regio. Ma altrettanto vale per la democrazia, se diventa assolutismo democratico, con le sue due facce uguali e contrarie, talora divergenti talora convergenti: l'eccesso di dispersione, la tirannide della maggioranza, sia essa popolare o parlamentare. Senza dire che mentre per la monarchia europea l'asolutismo è una forzatura (infatti, da Machiavelli a Montesquieu la grande tradizione culturale del nostro continente lega costantemente la monarchia alla co-esistenza con una varietà di poteri intermedi), per la democrazia repubblicana l'assolutismo è nelle sue stesse premesse dottrinali e persino antropologiche, non riconoscendo la democrazia repubblicana altro titolo potestativo salvo il numero, la conta dei voti. La vocazione monistica è dunque in principio, più forte e più coerente nella democrazia repubblicana che nella monarchia. Costruzione dello stato nazionale e dinastia sabauda. Tutti conosciamo la realtà istituzionale della penisola prima del processo risorgimentale, e tutti sappiamo, ad esempio, che altre casate importanti regnavano su porzioni del territorio italiano. C'era dunque una situazione potenzialmente aperta, nella quale ad altre dinastie si sarebbe offerta l'opportunità di costruzione della nazione e dello stato unitario. Ciò non è accaduto. Mentre il resto delle altre case regnanti, pure di altissimo lignaggio, è rimasto sostanzialmente privo di iniziativa e legato a interessi preminenti di potenze straniere, Casa Savoia è stata l'unica dinastia che ha rischiato in proprio, che si è messa in discussione, che non si è sottratta a quel compito unitario cui altri grandi popoli dalla Francia alla Gran Bretagna avevano atteso già da secoli, ha dunque accettato la sfida dello State building e del Nation building ponendo a disposizione i suoi statisti, le sue armate, la sua diplomazia, trovandosi spesso sulla sua strada come ostacoli proprio quelle dinastie e quei regimi così legati ad altri interessi consolidati, stranieri o ecumenici. I Savoia e l'interesse generale dell'Italia. Senza dubbio, la dinastia sabauda può avere perseguito anche un suo interesse espansivo, e inoltre ha giocato sullo scacchiere internazionale collegandosi ora a questa ora a quest'altra potenza, ispirandosi ora ad una prospettiva culturale ora a un'altra. Ma tale dinamica ha coinciso con l'interesse generale dell'Italia a diventare finalmente Stato nazionale, come tutte le tendenze europee del tempo esigevano, è stata dunque costantemente canalizzata a questo fine. Perciò, certe romanticherie letterarie, tese a rivendicare suggestioni neo-borboniche o neo-lorenesi o neo-papaline e via dicendo, certe rivisitazioni storiografiche, miranti a sottolineare "prepotenze piemontesi" come se la politica agisse sempre in guanti bianchi, certi rigurgiti anti-unitari nutriti di umori filo-asburgici, nulla possono togliere al fatto che senza davvero trascurare i meriti culturali, le realizzazioni istituzionali e i risultati morali e materiali riferibili ad altre dinastie, senza nulla sottrarre al rispetto che si deve a grandi tradizioni incarnate dalle dinastie poi sconfitte Casa Savoia ha conquistato sul terreno cruciale e ineludibile dell'unità nazionale il suo primato, mentre gli altri soggetti istituzionali hanno mancato proprio su tale terreno. Casa Savoia e Stato nazionale sono legati in un nesso genetico che nessuna contorsione polemica, di qualunque segno, può cancellare... Monarchia e fascismo. ...Le responsabilità dell'ascesa al potere del movimento fascista rinviano all'incapacità delle forze partitiche liberali, democratiche, cattoliche, e socialiste di assicurare un'adeguata governabilità alla nazione, di realizzare la "nazionalizzazione delle masse" in un quadro di adesione alle "regole del gioco" competitive, di perseguire forme pacifiche di convivenza sociale. Il fascismo non è la causa, ma il sintomo della crisi dell'assetto politico rappresentativo nell'emergenza delle prime formazioni di massa. E si può aggiungere che nel movimento fascista, coacervo di indirizzi culturali e istituzionali variamente assortiti (passatisti e futuristi, Strapaese Stracittà, monarchici e repubblicani, cattolici e laici, industrialisti e anti-industrialisti, conservatori e rivoluzionari, nazionalisti e socialisti), era presente anche una componente di ispirazione e vocazione totalitaria. Se questa componente fosse prevalsa, l'Italia avrebbe probabilmente conosciuto un regime totalitario, con tutti gli immensi costi umani, morali, civili, che accompagnano tale forma di dominio politico. La monarchia, però, ha rappresentato un deterrente assai significativo alla trasformazione della dittatura fascista in totalitarismo. Non soltanto, infatti, alla Corona è rimasto collegato in un nesso di sostanziale lealtà primaria il vertice dello Stato, con le sue strutture portanti (forze armate, magistratura, diplomazia, alta amministrazione), mantenendo così una misura apprezzabile di autonomia rispetto al partito unico, ma inoltre la Casa regnante ha contribuito a far sì che nel movimento fascista prendessero e mantenessero il sopravvento quei filoni, quegli orientamenti, quegli uomini, meno inclini alla metamorfosi totalitaria, talchè il "ventennio" può ben essere definito un'esperienza autoritaria, non un regime totalitario. Senza il contrappeso monarchico, la via verso la degenerazione totalitaria sarebbe risultata più sgombra e più facile. La crisi della democrazia repubblicana in Italia. Che la crisi della democrazia repubblicana in Italia sia pesante, lo si vede da mille segni. Ne abbiamo accennati molti. Possiamo aggiungere una inquietante decadenza del costume pubblico, gli scontri mortificanti tra poteri costituzionali e al loro interno, una cronica instabilità governativa, una ricorrente lotta di fazioni entro istituzioni delicatissime come la magistratura, le risse tra i corpi di polizia, lo sbandamento e la mortificazione materiale e morale delle forze armate, l'assenza di una politica estera, il senso di frustrazione collettiva, la sfiducia verso la pubblica amministrazione, una burocrazia pubblica i cui unici sussulti di vitalità si registrano quando si tratta di difendere ed incrementare gli innumerevoli orticelli "corporativi", una elefantiasi legislativa che iretisce gli organi statali, paratatali e locali e imprigiona la società civile, il disincanto dei cittadini verso la politica e i suoi uomini, l'anarchismo corrosivo e negatore sia della pacata autorità sia della responsabile libertà , il degrado della scuola e dell'università, persino l'integrità teritoriale della nazione posta in discussione da dissennate tendenze secessioniste. La democrazia, da sola, rischia di non farcela, di rimanere irreparabilmente impaniata nella palude di tutte queste sue contraddizioni e inefficienze, con esiti che potrebbero essere esiziali. La democrazia ha bisogno di aiuto, per evitare guai peggiori. deve accettare una prova di realismo, per evitare di sparire o di svuotarsi fino a snaturarsi del tutto. E deve farlo in tempo, prima che sia troppo tardi. Possiamo non reagire, ma l'alternativa alla mancanza di reazione è l'inarrestabile declino. Invece di rimanere legata con testardaggine feticistica all'unico ed esclusivo principio elettivo (del resto continuamente smentito nella pratica) , la democrazia si renda conto che la "divisione del lavoro" e la "cooperazione degli sforzi" tra principio elettivo e principio ereditario ciascuno preposto a un tipo essenziale di istituzione rappresentano la soluzione più ragionevole ed equilibrata, nell'ottica di quel "governo misto e temperato" che è centrale nella storia europea. E non si dica che il pricipio ereditario è un principio casuale, in questo senso "non logico". Basta osservare l'andamento e il risultato delle campagne e competizioni elettorali nelle democrazie di massa per rendersi conto dell'immenso rilievo che vi assumono, anche statisticamente, gli elementi di casualità e di "non logicità". Gli studiosi del comportamento di voto sanno bene quali e quante motivazioni spesso assurde, anche contraddittorie, banali, epidermiche oppure acriticamente persistenti, pesano potentemente nelle scelte degli elettori. Al confronto, il principio ereditario è un capolavoro di coerenza razionale. D'altro canto la "combinazione" di due "casualità" ha un potenziale di bilanciamnto ed equilibrio superiore ad una unica "casualità" assolutizzata, quale è il criterio elettivo assunto senza residui e tout court. Così come l'uguaglianza reale deriva sopratutto dalla "attenuazione" delle disuguaglianze in virtù del loro bilanciamento reciproco, allo stesso modo due "casualità" di segno diverso si attenuano per reciproca elisione e compensazione. Quando il voto è troppo statico, il monarca ha interesse all'innovazione, quando il voto è troppo volatile, il monarca ha intresse alla stabilità. Il ripristino dell'autorità reale. L'impegno civile per il ripristino dell'autorità regia va visto come il segnale, l'occasione e il volano di quella complessa, pluridimensionale riforma intellettuale e morale, di quel rivolgimento degli spiriti, di quella ripresa della speranza, di quella ricostruzione istituzionale dello Stato che sono essenziali per affrontare attrezzati le sfide dell'avvenire. Non è faccenda di sentimenti, anche se questi contano nel mantenimento dell'identità e della continuità di un popolo. E' sopratutto questione di interesse pubblico, se l'Italia vuole ridiventare una nazione, come pure è stata e come oggi non è più. PROF. DOMENICO FISICHELLA (ELOGIO DELLA MONARCHIA)

L'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

L'ordine più antico, quello di San Lazzaro, fu fondato come ordine militare religioso al tempo del Regno Latino di Gerusalemme verso l'anno 1090.L'ordine era concepito per la cura dei lebbrosi, e molti suoi membri erano lebbrosi guariti divenuti cavalieri. Con la caduta di Acri nel 1291 i cavalieri di San Lazzaro lasciarono la Terra Santa e l'Egitto per trasferirsi prima in Francia, e poi, nel 1311, a Napoli. L'Ordine di San Maurizio, invece, venne fondato nel 1434 da Amedeo VIII di Savoia, in seguito divenuto l'antipapa Felice V. L'unificazione dei due ordini avvenne il 22 gennaio 1573 per volere del duca Emanuele Filiberto di Savoia tramite Magistrali Patenti[1]. Nelle costituzioni del nuovo ordine i cavalieri dovevano possedere quattro quarti di nobiltà e dovevano vivere in convento per almeno cinque anni. Carlo Alberto aprì l'ordine anche ai non nobili e Vittorio Emanuele II lo ridusse a Ordine dinastico onorifico con i cinque gradi tradizionali: cavaliere di gran croce, grande ufficiale, commendatore, cavaliere ufficiale, cavaliere. In base alla XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana il 1º gennaio 1948, l'Ordine Mauriziano è conservato nel suolo dello Stato italiano riconducendolo all'esclusivo e originario compito di ente ospedaliero. Con la legge del 3 marzo 1951, nr.178, all'art.9, lo Stato italiano ha cessato il conferimento dell'ordine, consentendo comunque l'uso delle onorificenze già conferite, escluso ogni diritto di precedenza nelle pubbliche cerimonie. Trattandosi tuttavia di un Ordine Dinastico e non statuale, il conferimento è legittimamente proseguito in modo autonomo da parte della Casa di Savoia[2]. L'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è un'associazione senza fini di lucro a scopo benefico. Agli aspiranti cavalieri sono, per statuto, richieste le doti di onestà, fedeltà, comprensione, generosità e perdono. L'ordine conta oggi circa 4 000 membri, fra cavalieri (associati maschi) e dame (associati femmine), distribuiti in 33 paesi e divisi in delegazioni nazionali e regionali. Normalmente vengono tenute due cerimonie ufficiali all'anno, durante le quali tutti gli associati sono invitati a partecipare. La prima viene celebrata in Francia, nell'Abbazia di Altacomba, e rappresenta la commemorazione dei membri deceduti di Casa Savoia. La seconda rappresenta il Capitolo Generale dell'Ordine e viene tenuta nell'abbazia svizzera di San Maurizio di Agauno, presso Martigny. Nell'occasione vengono introdotti i nuovi associati e ha luogo un ballo di beneficenza. L'accesso all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro è riservato a tutti i membri della nobiltà italiana ed europea, oltre a coloro i quali, esentati con decreto magistrale, facciano parte del mondo delle scienze, dell'arte, della letteratura, dell'industria e degli affari, col presupposto che godano di ottima reputazione tra i loro pari e che condividano come obiettivo le finalità umanitarie dell'ordine stesso. Per antica consuetudine, l'insignito del cavalierato gode della nobiltà personale. L'ammissione in via di giustizia è prova del titolo primordiale di nobiltà per l'Ordine di Malta, come recita il Massimario Nobiliare del Magistrale Collegio dei Consultori Araldici dello SMOM.

Cristina Jonghi Lavarini.

Stemma della Nob.Dott. Cristina Emma Maria Jonghi Lavarini dei Baroni von Urnavas (figlia del Comm.Dott. Cesare Giovanni e della N.D. Dama Dott. Alda Ganassini dei Conti di Camerati), Volontaria della Croce Bianca di Milano, Dirigente d'Azienda ed appassionata fotografa. Nella foto con Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele IV, Duca di Savoia e Principe di Napoli, Capo della Real Casa.

Stemmi Jonghi Lavarini a Milano.

Stemmi di famiglia presenti nella storica plazzina "fraterna" milanese (costruita nei primi anni del 1900) e nella casa privata del Nob.Arch. Edmondo Maria Jonghi Lavarini di Baio dei Baroni di Ornavasso.

Santa Messa per la Regina Elena.

lunedì 26 novembre 2012

Stemma Matrimoniale Jonghi Lavarini.

Antico Stemma Matrimoniale Jonghi Lavarini del Barone Giovanni Generoso Bartolomeo Jonghi von Urnavas, Ingegnere Idraulico e Capitano del Regio Esercito Sabaudo e della Nobile Marietta (Maria Caterina Virginia) Lavarini. Lo stemma si trova, sopra il camino, nella storica casa di famiglia ad Ornavasso, di Filippo Giuseppe Maria Besana, figlio del Professor Francesco (Medico Dermatologo) e della Baronessa Maristella Jonghi Lavarini.

mercoledì 21 novembre 2012

Associazione Internazionale della Nobiltà Germanica.

Il Nob.Cav.Dott. Roberto Jonghi Lavarini, Freiherr von Urnavas, Delegato per l’Italia della Walser Uradel Kulturverein, per i suoi meriti culturali nei confronti dalla Internationaler Adelsverband (Associazione Internazionale della Nobiltà Germanica), ha ricevuto la Kommandekreuz (Commenda) dell’Adler Orden (Ordine dell’Aquila di Prussia) da Frèderic Prinz von Anhalt.

martedì 20 novembre 2012

"Anno Costantiniano"

Anno Costantiniano: nel 1700° anniversario dell'Editto di Milano. Conferenza Culturale: “L'IMPERATORE SCOPRÌ LA LIBERTÁ RELIGIOSA. Così fu possibile dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Fino ai nostri giorni.” Giovedì 22 novembre 2012 – ore 19.00 - Auditorium AGORA’ – Via Valpetrosa n. 1 – Milano (MM 1 Cordusio, Area C disattivata dalle 18.30). Interviene il M.Rev,do Prof. don Maurizio Ormas (Docente presso la Pontificia Università Lateranense) ed introduce il Dott. Massimiliano Prati (Presidente del Centro Culturale Milanese). Informazioni, contatti ed adesioni: info@centroculturalemilanese.org - www.centroculturalemilanese.org

mercoledì 7 novembre 2012

Nuovo Papa Copto d'Egitto.

Sua Santità Tawadros II, è il nuovo 118° Papa della antichissima e gloriosa Chiesa Cristiana Copta Ortodossa d'Egitto che conta oltre dieci milioni di fedeli.

lunedì 5 novembre 2012

E' morto il Generale Amos Spiazzi di Corte Regia.

Ieri, Festa delle Forze Armate, è morto il Generale Amos Spiazzi di Corte Regia, Presidente del Centro Studi Ghibellini Carlo Magno, Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona Ferrea, Commendatore dell'Ordine di San Giuseppe, Commendatore dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, militare vecchio stampo, autentico aristocratico, di tradizione monarchica e fede imperiale. Per il suo patriottismo anticomista è stato coinvolto in tutte le vicende giudiziarie delle cosidette "trame nere", dal Golpe Borghese alla Rosa dei Venti, ma, nel 1989, è stato definitivamente assolto da ogni accusa. RIP