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martedì 27 novembre 2012
Gli assoluti vantaggi della Monarchia.
Tra veri e falsi «revisionismi», che investono sia la storia sia le grandi categorie concettuali della politica, ora aumentando la conoscenza ora viceversa vulnerandola gravemente, vi è spazio anche per una rivisitazione serena della «questione istituzionale». Le tendenze oligarchiche di molte democrazie repubblicane sono ormai un dato evidente di realtà. E ciò, nonostante tutte le proclamazioni sulla «crescita della democrazia», suggerisce che siamo in presenza di una crisi democratica assai significativa. Vi è, insieme, una carenza di autorità e di libertà che segnala un vuoto istituzionale, prodotto dall'eliminazione di quel punto di equilibrio rappresentato, per lo Stato e per la Nazione, da una monarchia come tale indipendente da partiti e da interessi particolari, radicata in quella grande impresa che è stata l'edificazione dell'unità nazionale. Di ciò si occupa il presente volume, in una nuova edizione arricchita da un'ampia Premessa e da uno scritto di Luigi Einaudi.
Il tema affrontato da Domenico Fisichella in questo suo limpido Elogio della monarchia è solo apparentemente "nostalgico" e "inattuale". Al contrario, le risorse di equilibrio politico-istituzionale garantite nello Stato moderno dall'istituzione monarchica costituiscono un patrimonio acquisito della scienza e dell'esperienza politiche che, nella crisi evidente delle democrazie contemporanee, conserva ancora intatte le sue motivazioni ideali e strutturali.
Lo scritto in appendice di Luigi Einaudi arricchisce il testo di una importante testimonianza sulle ragioni storiche della monarchia in Italia.
Domenico Fisichella è stato Vice Presidente del Senato. Professore ordinario di Dottrina dello Stato e di Scienza della Politica nelle Università di Firenze e Roma "La Sapienza", è stato Ministro per i Beni Culturali e Ambientali. Medaglia d'oro ai Benemeriti della Cultura della Scuola e dell'Arte, editorialista di importanti quotidiani, è autore di numerose "voci" enciclopediche e di oltre venti volumi. Tra questi ultimi. Elezioni e
democrazia. Un'analisi comparata (Il Mulino, Bologna 1982). Il denaro e la democrazia. Dall'antica Grecia alle multinazionli (La Nuova Italia Scientifica, NIS. Roma 1990), Totlitarismo. Un regime del nostro tempo (NIS,. 1994). Il potere nella società industriale (Latenza. Roma-Bari 1995), La rappresentanza politica (Latenza, 1996), L'altro potere. Tecnocrazia e gruppi di pressione (Laterza, 1997), Le ragioni del torto. La critica di destra alla democrazia (Ed. Ideazione. Roma 1998), Lineamenti di scienza politica. Concetti, problemi, teorie (Carocci. Roma 1998. 7a ristampa aggiornata).
Per i nostri tipi è uscito, infine, il volume Istituzioni politiche.
MARCO EDITORE
pagg. 113 - Euro 6,20
ISBN 88-85350-67-4
I vantaggi della Monarchia.
... La monarchia rende visibile e simboleggia la sovranità, proprietà ineludibile della politicità. La monarchia coniuga le prestazioni della pluralità e i vantaggi dell'unità, indispensabili per l'esercizio insieme coerente ed efficace della sovranità. Correlativamente, evita la perversione del pluralismo, cioè la polverizzazione decisionale e rappresentativa, e in pari tempo evita l'ipertrofia monocratica. A questo duplice fine, attorno alla monarchia tende a realizzarsi una aristocrazia dello spirito di servizio capace sia di contenere e riequilibrare le spinte particolaristiche inerenti agli interessi oligarchici sia di conferire ricchezza operativa al processo di mantenimento e trasmissione dello spirito civico nel meccanismo di gestione della repubblica.
La monarchia: antidoto alle oligarchie.
La monarchia è più sottratta della democrazia repubblicana all'influenza del denaro, del numero, della competenza, persino della nascita, e alle pressioni dei loro interessi particolari e organizzazioni relative. Non solo. Mentre numero e denaro così potenti nella repubblica democratica tendono ad esaltare la forza della quantità essendo entrambi elementi quantitativi la monarchia integra il dato quantitativo con il dato qualitativo, essenziale per essa sub specie sia di educazione sia di distinzioni sia di tradizione culturale morale e storica.
La corona per l'interesse generale.
Certo, anche della monarchia si può dire, lo sappiamo bene, che ha il suo "interesse particolare". Ma tale interesse, che è la persistenza della Corona, coincide con l'interesse generale della nazione, poichè è interesse della dinastia regia equilibrare i particolarismi delle oligarchie del denaro, del numero, della nascita, della competenza, evitando che ciascuna prevarichi fino a minacciare la Corona: ma tale equilibrio è in pari tempo l'interesse generale della nazione, affinchè nessuno concentri troppo potere e soggioghi gli altri. Il re è "preparato", attraverso l'educazione, a tale scopo.
La monarchia come stimolo e freno.
Ecco perchè, quando sulla società incombe la cappa dell'immobilismo, alla monarchia preme agevolare i fattori di riforma e trasformazione, quando la società è sollecitata da stimoli troppo forti di cambiamento poco meditato, alla monarchia pertiene un ruolo di riflessione perchè la dinamica sociale, civile e istituzionale sia condotta entro limiti più pacati e graduali. Nell'un caso e nell'altro, nè di destra nè di sinistra.
Roma, 10 Maggio 1946 - Primo bagno di folla per Re Umberto II
La monarchia non può avere il colore delle parti.
Grazie alla sua continuità, alla sua autonomia rispetto alle parti, alla sua identificazione con lo Stato e le sue istituzioni fondanti, la monarchia ereditaria sottrae il vertice dello Stato al conflitto delle elezioni ricorrenti, ai relativi do ut des. Risolve in maniera automatica e comparativamente pacifica il problema, cruciale in ogni sistema politico, della successione protestativa al più alto livello statuale. Incarna, con la sua continuità, la collaborazione delle generazioni. Nel variare inevitabile e anche legittimo di congiunture, orientamenti, umori popolari, assolve tuttavia quella che è la funzione fondamentale e distintiva della leadership politica, cioè la proiezione nei tempi lunghi, la costanza delle grandi direttrici e dei supremi e permanenti interessi nazionali , mentre la politica democratica repubblicana è condannata dalla sua stessa intrinseca struttura alla proiezione e all'esaurimento nei tempi brevi, nell'immediatezza, improvvisazione, ondivaghezza, provvisorietà, contradditorietà, precarietà e contingenza di interessi, aspettative, suggestioni, emotività, strepiti e domande particolari.
La monarchia vincola le strutture fondamentali della statualità.
La monarchia vincola le strutture fondamentali della statualità (forze armate, diplomazia, magistratura, alta amministrazione) alla Corona, alle sue regole, alle sue lealtà, proteggendo tali importanti uffici dalle pressioni e invadenze delle fazioni. Evita che le parti coinvolgano nei loro interessi speciali e particolari (siano essi politici, economici, culturali) l'istituzione simbolo dell'unità nazionale. Salvaguarda così lo Stato nella sua coerenza decisionale e operativa, la sua persistenza e l'imparzialità delle sue leggi. Garantisce ai singoli e ai gruppi, nell'autonomia della società civile, tutta la libertà compatibile con la dignità e l'esercizio dell'autorità.
La monarchia è capace di autocorrezione.
Sempre entro gli spazi della natura umana, così gravemente vulnerata nella sua disponibilità verso il bene, la monarchia è capace di autocorrezione almeno altrettanto della democrazia, perchè se è varo che nei reggimenti democratici l'attitudine autocorrettiva è assecondata dal principio del dissenso (che consente talvolta di evitare, talvolta di evidenziare gli errori), nella monarchia tale attitudine è incoraggiata dal senso del limite, dalla temperanza, così strettamente legata al ruolo equilibratore. Certo, la monarchia può perdere capacità autocorrettiva, ad esempio se diventa assolutismo Regio. Ma altrettanto vale per la democrazia, se diventa assolutismo democratico, con le sue due facce uguali e contrarie, talora divergenti talora convergenti: l'eccesso di dispersione, la tirannide della maggioranza, sia essa popolare o parlamentare. Senza dire che mentre per la monarchia europea l'asolutismo è una forzatura (infatti, da Machiavelli a Montesquieu la grande tradizione culturale del nostro continente lega costantemente la monarchia alla co-esistenza con una varietà di poteri intermedi), per la democrazia repubblicana l'assolutismo è nelle sue stesse premesse dottrinali e persino antropologiche, non riconoscendo la democrazia repubblicana altro titolo potestativo salvo il numero, la conta dei voti. La vocazione monistica è dunque in principio, più forte e più coerente nella democrazia repubblicana che nella monarchia.
Costruzione dello stato nazionale e dinastia sabauda.
Tutti conosciamo la realtà istituzionale della penisola prima del processo risorgimentale, e tutti sappiamo, ad esempio, che altre casate importanti regnavano su porzioni del territorio italiano. C'era dunque una situazione potenzialmente aperta, nella quale ad altre dinastie si sarebbe offerta l'opportunità di costruzione della nazione e dello stato unitario. Ciò non è accaduto. Mentre il resto delle altre case regnanti, pure di altissimo lignaggio, è rimasto sostanzialmente privo di iniziativa e legato a interessi preminenti di potenze straniere, Casa Savoia è stata l'unica dinastia che ha rischiato in proprio, che si è messa in discussione, che non si è sottratta a quel compito unitario cui altri grandi popoli dalla Francia alla Gran Bretagna avevano atteso già da secoli, ha dunque accettato la sfida dello State building e del Nation building ponendo a disposizione i suoi statisti, le sue armate, la sua diplomazia, trovandosi spesso sulla sua strada come ostacoli proprio quelle dinastie e quei regimi così legati ad altri interessi consolidati, stranieri o ecumenici.
I Savoia e l'interesse generale dell'Italia.
Senza dubbio, la dinastia sabauda può avere perseguito anche un suo interesse espansivo, e inoltre ha giocato sullo scacchiere internazionale collegandosi ora a questa ora a quest'altra potenza, ispirandosi ora ad una prospettiva culturale ora a un'altra. Ma tale dinamica ha coinciso con l'interesse generale dell'Italia a diventare finalmente Stato nazionale, come tutte le tendenze europee del tempo esigevano, è stata dunque costantemente canalizzata a questo fine. Perciò, certe romanticherie letterarie, tese a rivendicare suggestioni neo-borboniche o neo-lorenesi o neo-papaline e via dicendo, certe rivisitazioni storiografiche, miranti a sottolineare "prepotenze piemontesi" come se la politica agisse sempre in guanti bianchi, certi rigurgiti anti-unitari nutriti di umori filo-asburgici, nulla possono togliere al fatto che senza davvero trascurare i meriti culturali, le realizzazioni istituzionali e i risultati morali e materiali riferibili ad altre dinastie, senza nulla sottrarre al rispetto che si deve a grandi tradizioni incarnate dalle dinastie poi sconfitte Casa Savoia ha conquistato sul terreno cruciale e ineludibile dell'unità nazionale il suo primato, mentre gli altri soggetti istituzionali hanno mancato proprio su tale terreno. Casa Savoia e Stato nazionale sono legati in un nesso genetico che nessuna contorsione polemica, di qualunque segno, può cancellare...
Monarchia e fascismo.
...Le responsabilità dell'ascesa al potere del movimento fascista rinviano all'incapacità delle forze partitiche liberali, democratiche, cattoliche, e socialiste di assicurare un'adeguata governabilità alla nazione, di realizzare la "nazionalizzazione delle masse" in un quadro di adesione alle "regole del gioco" competitive, di perseguire forme pacifiche di convivenza sociale. Il fascismo non è la causa, ma il sintomo della crisi dell'assetto politico rappresentativo nell'emergenza delle prime formazioni di massa. E si può aggiungere che nel movimento fascista, coacervo di indirizzi culturali e istituzionali variamente assortiti (passatisti e futuristi, Strapaese Stracittà, monarchici e repubblicani, cattolici e laici, industrialisti e anti-industrialisti, conservatori e rivoluzionari, nazionalisti e socialisti), era presente anche una componente di ispirazione e vocazione totalitaria. Se questa componente fosse prevalsa, l'Italia avrebbe probabilmente conosciuto un regime totalitario, con tutti gli immensi costi umani, morali, civili, che accompagnano tale forma di dominio politico. La monarchia, però, ha rappresentato un deterrente assai significativo alla trasformazione della dittatura fascista in totalitarismo. Non soltanto, infatti, alla Corona è rimasto collegato in un nesso di sostanziale lealtà primaria il vertice dello Stato, con le sue strutture portanti (forze armate, magistratura, diplomazia, alta amministrazione), mantenendo così una misura apprezzabile di autonomia rispetto al partito unico, ma inoltre la Casa regnante ha contribuito a far sì che nel movimento fascista prendessero e mantenessero il sopravvento quei filoni, quegli orientamenti, quegli uomini, meno inclini alla metamorfosi totalitaria, talchè il "ventennio" può ben essere definito un'esperienza autoritaria, non un regime totalitario. Senza il contrappeso monarchico, la via verso la degenerazione totalitaria sarebbe risultata più sgombra e più facile.
La crisi della democrazia repubblicana in Italia.
Che la crisi della democrazia repubblicana in Italia sia pesante, lo si vede da mille segni. Ne abbiamo accennati molti. Possiamo aggiungere una inquietante decadenza del costume pubblico, gli scontri mortificanti tra poteri costituzionali e al loro interno, una cronica instabilità governativa, una ricorrente lotta di fazioni entro istituzioni delicatissime come la magistratura, le risse tra i corpi di polizia, lo sbandamento e la mortificazione materiale e morale delle forze armate, l'assenza di una politica estera, il senso di frustrazione collettiva, la sfiducia verso la pubblica amministrazione, una burocrazia pubblica i cui unici sussulti di vitalità si registrano quando si tratta di difendere ed incrementare gli innumerevoli orticelli "corporativi", una elefantiasi legislativa che iretisce gli organi statali, paratatali e locali e imprigiona la società civile, il disincanto dei cittadini verso la politica e i suoi uomini, l'anarchismo corrosivo e negatore sia della pacata autorità sia della responsabile libertà , il degrado della scuola e dell'università, persino l'integrità teritoriale della nazione posta in discussione da dissennate tendenze secessioniste. La democrazia, da sola, rischia di non farcela, di rimanere irreparabilmente impaniata nella palude di tutte queste sue contraddizioni e inefficienze, con esiti che potrebbero essere esiziali. La democrazia ha bisogno di aiuto, per evitare guai peggiori. deve accettare una prova di realismo, per evitare di sparire o di svuotarsi fino a snaturarsi del tutto. E deve farlo in tempo, prima che sia troppo tardi. Possiamo non reagire, ma l'alternativa alla mancanza di reazione è l'inarrestabile declino. Invece di rimanere legata con testardaggine feticistica all'unico ed esclusivo principio elettivo (del resto continuamente smentito nella pratica) , la democrazia si renda conto che la "divisione del lavoro" e la "cooperazione degli sforzi" tra principio elettivo e principio ereditario ciascuno preposto a un tipo essenziale di istituzione rappresentano la soluzione più ragionevole ed equilibrata, nell'ottica di quel "governo misto e temperato" che è centrale nella storia europea. E non si dica che il pricipio ereditario è un principio casuale, in questo senso "non logico". Basta osservare l'andamento e il risultato delle campagne e competizioni elettorali nelle democrazie di massa per rendersi conto dell'immenso rilievo che vi assumono, anche statisticamente, gli elementi di casualità e di "non logicità". Gli studiosi del comportamento di voto sanno bene quali e quante motivazioni spesso assurde, anche contraddittorie, banali, epidermiche oppure acriticamente persistenti, pesano potentemente nelle scelte degli elettori. Al confronto, il principio ereditario è un capolavoro di coerenza razionale. D'altro canto la "combinazione" di due "casualità" ha un potenziale di bilanciamnto ed equilibrio superiore ad una unica "casualità" assolutizzata, quale è il criterio elettivo assunto senza residui e tout court. Così come l'uguaglianza reale deriva sopratutto dalla "attenuazione" delle disuguaglianze in virtù del loro bilanciamento reciproco, allo stesso modo due "casualità" di segno diverso si attenuano per reciproca elisione e compensazione. Quando il voto è troppo statico, il monarca ha interesse all'innovazione, quando il voto è troppo volatile, il monarca ha intresse alla stabilità.
Il ripristino dell'autorità reale.
L'impegno civile per il ripristino dell'autorità regia va visto come il segnale, l'occasione e il volano di quella complessa, pluridimensionale riforma intellettuale e morale, di quel rivolgimento degli spiriti, di quella ripresa della speranza, di quella ricostruzione istituzionale dello Stato che sono essenziali per affrontare attrezzati le sfide dell'avvenire. Non è faccenda di sentimenti, anche se questi contano nel mantenimento dell'identità e della continuità di un popolo. E' sopratutto questione di interesse pubblico, se l'Italia vuole ridiventare una nazione, come pure è stata e come oggi non è più.
PROF. DOMENICO FISICHELLA (ELOGIO DELLA MONARCHIA)
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